La foto della “Ever Given” incagliata di traverso nel canale di Suez è diventata una di quelle immagini simbolo dell’inizio degli anni venti di questo secolo, già segnato dalla pandemia del Covid-19 che continua a fare migliaia di vittime ogni giorno e in ogni angolo del pianeta. Il blocco, che per un’intera settimana ha mandato in tilt i trasporti marittimi diretti nel Mediterraneo, è stato una catastrofe economica con danni a catena che ancora si stanno valutando. Nessuna vittima umana, per fortuna, ma le conseguenze sono state devastanti e planetarie alla stregua di uno tsunami oceanico, di un terremoto o di incidente nucleare. È bastata una nave, seppure immensa con i suoi 400 metri di lunghezza e con 18.300 container a bordo, che si mettesse di traverso per una ragione che i tecnici stentano a spiegare, per bloccare il canale, unica via di accesso dall’Oriente e dall’Oceano Pacifico verso la ricca Europa. Da quel 23 marzo i mercati sono impazziti, si sono fermate intere filiere industriali perché a bordo, per esempio, c’erano mini processori e componenti destinati a fabbriche in Germania o in Gran Bretagna. Anche il prezzo del petrolio è schizzato verso l’alto essendosi fermate all’ingresso del canale decine di petroliere destinate alle raffinerie europee.
Più del 10 per cento del commercio marittimo e del petrolio mondiale passa per i 193 chilometri del canale che collega l’Asia al nostro continente. L’incidente della “Ever Given,” secondo la stampa specializzata, ha interrotto il trasporto di beni per 9,6 miliardi di dollari al giorno. Delle 350 navi in attesa di passare, numerose hanno scelto di cambiare rotta tornando a circumnavigare l’Africa come nell’Ottocento allungando il viaggio di oltre una settimana e aggravando i costi del trasporto e delle merci.
Il blocco di Suez (liberato solo il 29 marzo dopo una settimana di immani sforzi per disincagliare il “mostro” di ferro), ha attirato l’attenzione pubblica sulla fragilità della rete mondiale dei trasporti e di conseguenza sulla catena di rifornimento complessiva (non solo l’industria, ma anche gli approvvigionamenti alimentari e sanitari), già messa a dura prova dalla pandemia e da un’epoca in cui è in discussione la concezione stessa del commercio globale.
L’emergenza Covid-19 ha messo a nudo il sistema di produzione e distribuzione dei vaccini, evidenziando una serie di problemi che solo oggi i Paesi, tra i quali l’Italia, si stanno ponendo per affrontare l’enorme richiesta. I Paesi produttori (Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Cina) sono quelli che hanno affrontato con più rapidità ed efficienza proprio perché avevano i vaccini in casa, mentre è scattata la corsa ai rifornimenti tra tutti gli altri. Oggi si parla dei vaccini, ma domani potrà essere qualsiasi prodotto da portare in quantità nei mercati europei. Ed ecco che si torna alla vicenda della “Ever Given”.
Come evitare allora che la stessa situazione si ripeta a Suez o in altri passaggi marittimi obbligati? Anche per questo i cinesi, che tra tutti i players commerciali del mondo nell’ultimo ventennio si sono affermati come i più dinamici e ambiziosi, hanno puntato molto sull’alternativa di terra per trasportare le merci lavorate nelle miriadi delle loro fabbriche e destinate ai mercati non solo europei, ma mediterranei orientali e nordafricani. In questo contesto nasce il progetto della famosa “Via della seta” di cui si parla sempre più sulla stampa. Un investimento di 1000 miliardi di dollari (una cifra inimmaginabile) con l’obiettivo di unire attorno alla Cina l’intera Asia e collegarla con l’Europa attraverso strade, ponti, ferrovie, gasdotti, oleodotti, e una poderosa logistica sulle vie d’acqua, con porti e infrastrutture collegati negli oceani Pacifico e Indiano e nel Mediterraneo, sulle rotte delle sue merci e dei suoi interessi politici. In Europa è già una realtà con il porto di Duisburg (Germania) dove giungono circa 30 treni la settimana carichi di container.
Così l’incidente della “Ever Given” deve essere considerato come una sveglia per tutta l’Europa e per gli Usa riguardo ai loro interessi con l’Occidente, per avviare una strategia commerciale alternativa che non sia in ostaggio degli stretti marittimi e dell’espansionismo cinese. Questa sarà la vera scommessa del dopo pandemia.