È il 7 maggio del 1945 quando i cagliaritani ascoltano, primi al mondo insieme agli altri sardi, la notizia della resa dei tedeschi e, dunque, la fine del secondo conflitto mondiale: venti minuti prima della BBC e ben 6 ore prima di Radio Roma. L’allora sedicenne Francesco Cossiga dichiarò al riguardo: «Ero sintonizzato su Radio Sardegna per sentire musica à la page: Glen Miller e Artie Shaw ma anche l’orchestra di Radio Sardegna, con Giulio Libano, Franco Pisano e Fred Buscaglione. A un certo punto il programma si interrompe e una voce concitata annuncia: “Le forze armate tedesche si sono arrese agli americani… la guerra è finita. Solo venti minuti dopo ho sentito la stessa notizia su Radio Londra». Cossiga che era già da giovanissimo un esperto radioamatore, cercò di sintonizzarsi sulle trasmissioni delle radio degli alleati e così ebbe la conferma. Poi in serata anche arrivarono i comunicati ufficiali da Roma.
Una testimonianza senza bisogno di conferme le quali, comunque, non tardarono a giungere dalla nastroteca della Rai in via Asiago a Roma. Ma non è tutto. Radio Sardegna ebbe anche il pregio di essere una delle prime (se non in assoluto la prima) “voce libera” dopo l’otto settembre 1943. «Qui è Radio Sardegna, voce dell’Italia libera al servizio del re». Iniziò tutto così, con una piccola radio da campo a Bortigali, racconta Romano Cannas, ex direttore di Radio Sardegna, nel libro illustrato “Radio brada” pubblicato nel 2004 da RAI Eri e da lui curato per raccontare la storia della radio di noi sardi con dovizia di particolari e di testimonianze.
La radio dei sardi
Se la voce dei combattenti è il primo vagito del sardismo, Radio Sardegna, nel secondo dopoguerra, anticipa il ritorno alla libertà e la richiesta di autonomia del popolo sardo. Nasce all’indomani dell’armistizio nel settembre del 1943. L’Isola è fiaccata dai bombardamenti e dalla fame. Il tasso di scolarizzazione è basso. Sono anni di grandi tensioni politiche e sociali. La rinascita è lontana. In questo clima la radio diventa capace di unire idealmente tutti i sardi, anche quelli oltre Tirreno, diventa un segno d’identità, un veicolo di unità “nazionale”. La sua storia in quegli anni si accompagna a un’analisi speculare sui concetti di libertà e autonomia. Radio Sardegna, da un certo momento in poi, diventa il simbolo della lotta ai regimi illiberali. La difesa dell’autonomia dell’emittente (messa in discussione due anni dopo la nascita) diventa centrale nel dibattito politico, dai sardisti (Emilio Lussu, Antonio Simon Mossa) ai liberali (Francesco Cocco Ortu). Purtroppo l’entusiasmo e le idee che portarono all’affermazione di Radio Sardegna non ebbero seguito nel dibattito politico che ruotava attorno alla nascita della Regione Autonoma dell’Isola, sia a livello nazionale/parlamentare sia tra le forze regionali divise tra i partiti storici democratici e antifascisti e i movimenti sardisti spaccati tra autonomisti e indipendentisti.
Le idee che circolarono attorno alla radio (nel 1945 già negli studi di viale Bonaria) erano assai più avanzate, libere e dialettiche riflettendosi ogni giorno nei numerosi programmi radiofonici che venivano trasmessi in alternanza ai primi notiziari. Un’intera generazione di giovani intellettuali, artisti e giornalisti stava formandosi in quella radio che visse una stagione straordinaria, nonostante le difficoltà tecniche e organizzative oltre che i problemi legati alla dirigenza nazionale.
Questo straordinario volume, uscito nel 2004, ricostruisce tutti gli aspetti che accompagnarono “radio brada” , detta così perché appunto si spostò in diversi luoghi dalla grotta-rifugio di Bortigali, alle precarie sedi cagliaritane sino ad approdare all’ex palestra Gil che venne trasformata in studi radiofonici (poi anche televisivi) e dove si trova tutt’oggi la Rai della Sardegna in viale Bonaria. “Brada” lo ritroviamo nei testi e nei titoli sia scritto con la maiuscola iniziale inteso come nome personale, sia con la b minuscola nel senso di aggettivo.
“Radio brada: 8 settembre 1943, dalla Sardegna la prima voce dell’Italia libera. a cura di Romano Cannas, AA VV, Roma, Rai-Eri, 2004, con allegato un DVD
(vedi il PDF del volume nel link della Digital Library Sardegna dedicato al tema e i vari post presenti in questo sito),
Romano Cannas ha raccolto attorno a questo volume, realizzato dalla sede Rai della Sardegna col patrocinio della Fondazione Banco di Sardegna, uno stuolo di eccezionali firme del giornalismo sardi che con i loro contributi hanno sviluppato i vari aspetti non solo della nascita della prima radio sarda, ma hanno raccontato quel periodo tra gli anni quaranta/cinquanta, fascismo e liberazione, tra distruzione e ricostruzione, affermazione della democrazia e quindi istituzione dell’autonomia regionale. E Cannas ha potuto pubblicare saggi e articoli di personaggi della cultura sarda, tra intellettuali e giornalisti, al momento anziani o alcuni per motivi anagrafici non più in vita, ma che lasciarono testimonianze scritte di valore assoluto per le generazioni che non conobbero quella stagione di grandi entusiasmi, ma anche di grandi sacrifici.
Questo volume arricchito dal materiale audiovisivo recuperato da Cannas e collaboratori negli archivi della Rai di Cagliari e di Roma, rappresenta un’opera fondamentale, un lavoro storico irripetibile che si pone alla base dei futuri studi e che comunque conserva intatta la memoria di eventi eccezionali. Basta scorrere il sommario delle oltre 250 pagine che compongono il bel volume, curato nella grafica patinata e con un corredo di rare e storiche immagini che da sole raccontano l’epopea non solo della radio, ma di un’intera epoca nell’Isola, a cavallo tra gli anni trenta e gli anni cinquanta.
Fra queste spicca il ricordo di uno dei suoi sei fondatori, Jader Jacobelli, il quale, nella prefazione, afferma: «Sono l’unico superstite di quel gruppetto di ufficiali che, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre e la ritirata dei tedeschi dall’Isola, furono incaricati dal Comando militare sardo di improvvisarsi redattori radiofonici usando una trasmittente installata su un camion a Bortigali».
La prima redazione
La prima redazione di Radio Sardegna nasce a Bortigali, dentro un bunker delle Forze Armate, a due passi dal paese del Marghine. I giornalisti sono militari. Sono loro (due ufficiali appassionati di elettronica) a rimettere in funzione un apparecchio che i tedeschi in fuga avevano cercato di sabotare. La “scintilla” fa nascere la prima radio libera, in un’Italia devastata dalla guerra e dalla censura fascista. Da Bortigali, in un rifugio antiaereo, a via Is Mirrionis a Cagliari e poi in viale Bonaria che diventerà la sede definitiva.
In questi anni Radio Sardegna, che non è ancora emittente locale, fa sentire la sua voce nella Penisola sfuggendo all’isolamento e alla cultura omologante imposta dal regime che, da Roma, irradia in tutto il Paese. In Sardegna non ci sono ripetitori e il segnale dell’Eiar (poi Rai) non arriva.
Radio Sardegna diventa una “voce amica”. Dai suoi microfoni comunica, informa, educa. Avvia un dibattito libero e indipendente dalle pretese centralistiche di Roma che (finita la stagione della redazione “americana” gestita dai militari) invia direttori con il compito di sterilizzare una radio selvaggia e resiliente, lontana dal pensiero unificante di stampo fascista. La radio, in questo momento di crisi generale, assume un ruolo centrale nella formazione dei cittadini e nella necessità di aggregare i sardi in un progetto politico che passa da un reale autonomismo.
Addio indipendenza
Ad accendere la miccia le voci molto insistenti nel 1945 (il 7 luglio di quell’anno la fine della guerra era stata annunciata proprio dai microfoni della radio “cagliaritana”) di una soppressione di Radio Sardegna che nei piani romani sarebbe stata assorbita da un più vasto sistema radiofonico nazionale. Un’operazione giudicata “coloniale”, un atto ostile, il tentativo becero di soffocare la «libera espressione delle aspirazioni dei sardi». O come scrisse Antonio Simon Mossa, teorico dell’indipendentismo: «La rinascente espressione del cieco, ottuso, spogliatore centralismo monopolistico nazionale, in stridente contrasto con le istituzioni autonome cui concordemente il popolo sardo aspira e delle quali la benemerita Radio Sardegna deve diventare prezioso e indispensabile strumento» (Il Solco 13 maggio del 1945).
Il 5 maggio era stata L’Unione Sarda ad occuparsi della sorti della radio cagliaritana. Nel 1952 però il tentativo di normalizzazione (sventato nel ’45 con la rivolta popolare) non fallisce. Nessuna battaglia politica, nessuna sollevazione di massa. La Rai ingloba il palinsesto di Radio Sardegna. L’esperienza del 1943 finisce. Sopravvivono solo i Gazzettini. Di autonomia si riparlerà solo dopo molti anni.
Ma per arrivare a questo punto sono trascorsi alcuni decisivi anni, dal pionierismo delle prime rocambolesche trasmissioni alla programmazione quotidiana tra intrattenimento, musica, teatro e informazione giornalistica.
“Le pagine di questo libro – scrive nell’introduzione Antonello Arru, presidente della Fondazione -sono tra le più esaltanti per la Sardegna. Non solo perché ricostruiscono con rigore scientifico e col metodo della cronaca giornalistica le vicende di una radio che fu certo “brada” ma soprattutto brava, capace, intelligente nel fare informazione in anni tormentati. Ma perché la nostra Isola acquista una centralità nel mondo dei mass media. Aver sentito, dai testimoni degli anni Quaranta, che “la voce dell’Italia libera parla dalla Sardegna” non può che riempire di orgoglio legittimo chi nell’Isola vive, ma anche un’istituzione, come quella che mi onoro di rappresentare, che ha fatto della diffusione e della valorizzazione della cultura, uno dei cardini del proprio agire quotidiano […]
Nel sommario, che qui presentiamo, si possono vedere i temi toccati dai singoli autori, sotto l’attenta regia di Cannas che firma la presentazione. Dalle prime radio proibite o controllate dal regime a Radio brada, ma nei vari capitoli scorre la storia della Sardegna che esce a pezzi dalla guerra, la faticosa ricostruzione, il dibattito politico, passando per i cambiamenti culturali che accompagneranno l’Italia alla rinascita grazie anche al decisivo apporto (in tutti i campi) degli americani.
Sommario
Fondamentale libro di storia
Rimandiamo ad un’attenta lettura del volume, come detto disponibile in Pdf nella Digital Library della Regione, che si può leggere di filato come un romanzo oppure per singoli capitolo perché ciascuno è un saggio a sé stante. Il volume – occorre sottolineare – non è solo la storia della radio sarda, ma anche la storia della Sardegna in tutti gli aspetti: politico, sociale, economico, culturale. Leggendo i vari capitoli si conoscono i numerosi personaggi famosi e poco noti, ma altrettanto importanti ciascuno nel loro ruolo, che hanno partecipato alla guerra, alla ricostruzione e alla nascita di quella che è diventata la Sardegna moderna. Per questo motivo il libro curato da Cannas è fondamentale, in quanto grazie ai ricordi e alle testimonianze raccolte e raccontate da chi c’era, conserva e tramanda alle future generazioni un’epoca durata quasi quarant’anni, dall’era fascista al periodo della Rinascita, attraversando gli anni più duri e difficili del conflitto e della rinascita. Un libro di storia tout court, che auspichiamo possa sempre essere ben presente nelle ricostruzioni degli storici e citato ampiamente quando si tratterà di rileggere e riscrivere la storia dell’Isola del Novecento.
I temi e gli autori
Qui ripercorriamo in sintesi i temi citando uno per uno i numerosi autori che hanno lasciato un’impronta nel giornalismo e nella cultura regionale, e che generosamente hanno risposto alla chiamata di Cannas e di Manlio Brigaglia con i loro preziosi contributi.
Vito Biolchini, giornalista, blogger, autore teatrale, esperto di radio e tv. Ripercorre nel suo saggio “le radio proibite”, le vicende delle prime voci dell’etere che potevano informare i cittadini degli sviluppi della guerra (Radio Londra, Radio Algeri, Radio Tunisi) e dell’Eiar, l’emittente ufficiale del regime da cui nacque la Rai. Interessante la ricostruzione degli eventi riguardanti l’armistizio e poi la fine della guerra così come vennero diffusi da Radio Bari la quale compete a Radio Brada il primato di aver dato per prima la notizia della conclusione del conflitto.
“Radio brada”, il saggio che ricostruisce passo passo la nascita e l’affermazione dell’emittente sarda, autore Manlio Brigaglia, una delle maggiori figure di intellettuale a 360 gradi che percorse da protagonista tutti gli eventi dell’informazione nell’Isola per settant’anni: scrittore, editorialista, docente dell’Università di Sassari, giornalista, uno dei primi collaboratori di Radio Sardegna.
Giacomo Mameli, giornalista, esperto di economia, direttore del mensile Sardinews (si veda il post dedicato in questo sito), autore di saggi e romanzi, descrive i luoghi che ospitarono radio brada tra Bortigali nella “catacomba di Monte Cristo” e Cagliari attraverso il racconto degli ultimi testimoni, tra cui Jader Jacobelli.
Giuseppe Podda, giornalista, scrittore, critico e storico cinematografico, il racconto dell’arrivo degli americani a Cagliari e le prime trasmissioni radiofoniche nel saggio “la voce della ricostruzione”.
“Dopo gli orrori della guerra, una voce di speranza”, il breve ma toccante ricordo dello scrittore e saggista Mario Ciusa Romagna che nel 1943 fu il primo sindaco di Fuori dopo il fascismo.
A Romano Cannas il compito di ricostruire il momento più celebre “qui Radio Sardegna: la guerra è finita”, rivendicazione storica del primato di aver dato la notizia primi al mondo! “A dare l’annuncio – scrive – è una piccola radio, per voce rotta dall’emozione di Amerigo Gomez e Antonello Muroni, il direttore e l’annunciatore di Radio Sardegna. È il 17 maggio 1945, Radio Sardegna entra nella leggenda.
Vittorino Fiori, decano dei giornalisti sardi all’epoca della pubblicazione, maestro di generazione di cronisti, vicedirettore dell’Unione Sarda e direttore dell’Informatore del lunedì, regala il ritratto a tutto tondo del maggiore Guido D’Agostino, un civile (scrittore e giornalista) arruolato dagli americani e nominato responsabile dello Own (Office of War Information), il quale ebbe un ruolo fondamentale per lanciare e sostenere la nuova radio con l’aiuto delle forze alleate.
Ad Antonio Romagnino il compito di rievocare i numerosi intellettuali che ruotarono attorno a Radio Sardegna che erano i protagonisti della vita culturale soprattutto di Cagliari, partecipando alle attività delle prime associazioni culturali del dopo fascismo. Insegnante, giornalista, fine conferenziere, scrittore di saggi e anche preziose guide turistiche sul capoluogo, fondatore dell’associazione Italia Nostra e presidente a lungo degli Amici del libro.
Raffinato saggio dello scrittore e antropologo Francesco Alziator, studioso di tradizione popolari e uno dei primi collaboratori di Radio Sardegna. In questa “conversazione” (Estetica della radio) andata in onda alla fine degli anni Quaranta, parla proprio del nuovo straordinario mezzo di comunicazione che era già allora la radio.
Giovanni Sanna ha lavorato per molti anni in Rai come annunciatore, con la sua celebre voce dal timbro inconfondibile. Programmista regista e giornalista, uno dei fondatori del Teatro Sardegna. Nel suo approfondito saggio “Radio Sardegna accende le luci del varietà”, ricorda puntigliosamente i nomi, le figure e gli spettacoli di coloro che furono i protagonisti della scena sarda tra il dopoguerra e gli anni sessanta. I maestri Franco Pisano e Gorni Kramer (diventati celebri a livello nazionale con la Rai), i tanti musicisti, cantanti, attori e comici sardi, e anche giornalisti e autori quali Alberto Rodriguez che all’Unione Sarda promosse la nascita della pagina della cultura in chiave moderna.
La preziosa testimonianza di Giulio Libano “Siamo nati in una grotta”, arrangiatore musicale e direttore d’orchestra, che nel 1944 militare a Cagliari, iniziò la sua carriera suonando nell’orchestra di Radio Sardegna.
Maria Paola Masala, prima giornalista professionista sarda, inviata speciale dell’Unione Sarda dedica un breve saggio “Fantasia in grigioverde” alle prime trasmissioni leggere che rallegrarono gli ascoltatori a partire dal 1944 dopo la caduta del regime.
Aniello Macciotta è stato un autorevole pediatra e clinico dell’università di Cagliari, ma poco meno che diciottenne e ancora studente di liceo, iniziò la collaborazione con Radio Sardegna dopo un incontro col direttore Amerigo Gomez. Qui il ricordo de “i ragazzi di Radio Sardegna”.
“Da Radio Sardegna a Rai Sardegna”, il saggio approfondito e sostanzioso di uno storico nonché giornalista, editorialista e saggista qual è Paolo Fadda che mentre pubblichiamo questo post (2022) è ancora in prima pagina con i suoi articoli sull’Unione Sarda. A lui il compito di ricostruire e analizzare i passaggi storici, burocratici e politici da una radio un po’ avventuristica all’affermazione della radio regionale della Rai, con i vari retroscena che portarono la sede cagliaritana sotto il controllo della Democrazia cristiana nell’ambito della spartizione partitica della Rai. Interessanti i passaggi sulle battaglie per l’autonomismo. E i ricordi del Gazzettino sardo, il quotidiano appuntamento con le notizie regionali che dava conto di quel che accadeva nelle città e nei paesi di tutta l’Isola.
A proposito di “Autonomia persa e il microfono negato” il saggio di Gaetano Vindice Ribichesu, giornalista della Nuova Sardegna e poi all’ufficio stampa del consiglio regionale, profondo conoscitore dei temi politici, economici e di storia del giornalismo (a cui dedica alcuni importanti passaggi a pag. 177 citando le testate che operavano nell’Isola in quel ventennio 50/60 della nascita e sviluppo dell’autonomismo). Anni difficili per la stampa durante i quali la radio rimase la fonte più accessibile al grande pubblico.
In “Quelli del Gazzettino sardo” Gianni Filippini ricorda i colleghi che lavorarono in redazione o quali collaboratori alla stesura quotidiana del radiogiornale. Alcuni – scrive – formidabili maestri, citando Umberto Cardia, Ignazio De Magistris, Peppino Fiori, Guido Martis (che poi diventò direttore di Rai Sardegna), Paolo Pira Ferri, Aldo Assetta, Vittorio Stagno, Sergio Calvi, Giangiorgio Gardelin, Silvio Attori – altro futuro direttore – Dino Sanna…). Filippini cita a memoria i nomi delle voci che più vengono alla mente degli ascoltatori della sua generazione, che si alternavano ai microfoni del Gazzettino: Aurora Lai, Giorgio Atzeni e Lina Lazzari.
Tra le firme più famose di questo volume spicca Tito Stagno, uno dei primi conduttori del tg della Rai, che ha diretto e condotto la Domenica sportiva e insieme a Ruggero Orlando ha raccontato lo storico sbarco dell’uomo sulla Luna. In “i miei amici di viale Bonaria” ricorda tra gli altri Gianni Attilini in Rai dal 1947, il quale nel 1954 spinse il giovane Tito a partecipare a Roma al concorso per telecronisti.
Interessante per il ruolo culturale e politico che ebbe il Controgiornale di Radio Sardegna, inventato e realizzato dall’antropologo Michelangelo Pira. Quel programma – scrive ancora Manlio Brigaglia autore del capitolo dedicato a questo lavoro – che doveva durare una quarantina di puntate in due riprese tra il gennaio 1967 e il giugno 1968 era destinato a restare come una delle invenzioni più originali della Rai cagliaritana, “asilo politico” per diversi intellettuali e giornalisti che avevano le porte chiuse nella stampa sarda in mano al petroliere Nino Rovelli all’epoca del boom della chimica e del conseguente monopolio economico e dell’informazione.
“Le due lingue di Mialinu” è il saggio dell’antropologo e scrittore Bachisio Bandinu, collaboratore del Corriere della Sera e per un anno direttore dell’Unione Sarda, presidente della Fondazione Sardinia. “Il grande merito di Radio Cagliari – scrive Bandinu – è stato quello di dare voce e occasione di dibattito ai problemi che allora sorgevano dal contatto tra sardo e italiano e di aver evidenziato la questione del bilinguismo nella parlata della gente”. Bandinu anche qui evidenzia il ruolo essenziale di Michelangelo Pira nelle sue collaborazioni radiofoniche e negli scritti usciti su giornali e riviste quali Ichnusa (1960) da cui scaturì un lungo dibattito tra intellettuali e politici. Pira (Mialinu) realizza la sua ultima intervista che viene trasmessa dalla seconda rete Tv nell’ottobre 1980 nella puntata di “La festa, la farina e la forca”, in cui l’antropologo di Bitti si relazione con Libéri, suo compagno di scuola delle elementari. L’autore si interroga sul destino di due percorsi diversi, a distanza di quarant’anni, il suo è quello di un intellettuale, l’altro di un pastore. Qui emerge – come sottolinea Bandinu – l’importanza dei nuovi mezzi (la radio e poi la tv) nel processo culturale regionale e nazionale che se usati correttamente possono dare un forte impulso alla conquista di identità nuove piuttosto che alla ricerca di identità perdute.
Restando sul tema, a seguire nel volume un secondo originalissimo saggio di Giovanni Sanna su “La lingua dei vinti” (da pag. 217). “Loro, i grandi del passato, erano più semplicemente la voce di un popolo, la voce di chi appartenendo a un popolo vinto, non aveva titolo per raccontare la storia ufficiale, quella riservata ai vincitori. Perciò raccontava la propria vicenda umana attraverso gli strumenti della cultura popolare: i canti, le leggende, i proverbi, la poesia. Radio Sardegna ha conosciuto questa stagione e ha aperto i suoi microfoni ai tanti artisti nati negli ovili e nelle campagne”. Sanna riporta numerosi esempi di questi personaggi che grazie alla radio hanno raggiunto inimagginabili platee di ascoltatori. Bisogna riconoscere che Radio Sardegna ebbe la fortuna di poter contare sulla capacità, la competenza e la generosità eu eccezionali figure di studiosi e appassionati. Oltre all’etnomusicologo don Giovanni Dore, Sanna cita l’opera dell’eclettico intellettuale Fernando Pilia, del linguista docente dell’ateneo cagliaritano Antonio Sanna, di Francesco Alziator e Ovidio Addis, Leonardo Sole e Pietro Sassu, non tralasciando il prezioso contributo che diede alla cultura regionale il professor Nicola Valle, musicista, musicologo, fine letterato, nonché fondatore dell’associazione Amici del libro.
Parlando del ruolo degli antropologi e degli studiosi di usi e costumi dei sardi, non poteva mancare il ricordo di Antonio Pigliaru che nell’autunno del 1966 dai microfoni di Radio Cagliari tenne una serie di conversazioni (di appena 15 minuti ciascuna) che volle chiamate “Le parole e le cose”. Lo storico sassarese Guido Melis, docente all’università di Roma ed editorialista de La Nuova Sardegna, rievoca quel fortunato quanto sostanzioso ciclo di trasmissioni intitolato “La Sardegna di Pigliaru”. Tra l’altro Pigliaru fu fondatore della rivista “Ichnusa” che ebbe un ruolo fondamentale nel dibattito culturale e politico dell’Isola nel dopoguerra.
Appare poi la preziosa testimonianza “Un viaggio nel tempo” di Pietro Clemente, ordinario di antropologia nella facoltà di Lettere di Firenze, che si è occupato per una vita di ricerche di vari aspetti della cultura popolare, in particolare di emigrazione, identità di paesi, archivi della memoria. Qui il ricordo del faticoso quanto appassionato lavoro di ricerca negli archivi della Rai per realizzare una serie di CD promossi dall’assessorato alla cultura della Regione sarda. Nel racconto emergono figure di studiosi e professionisti, quali la programmista regista Maria Piera Mossa, che diedero il loro contributo al lavoro di Clemente.
Infine un bel saggio letterario dello scrittore nuorese Salvatore Mannuzzu, magistrato, parlamentare per tre legislature. Con il celebre romanzo “Procedura” ha vinto il Premio Viareggio, tra i più prestigiosi nel panorama nazionale. Una storia dello strumento della radio, che ha cambiato la vita degli italiani, dai primi sgraziati e ingombranti modelli alle radioline portatili. Una rivoluzione nella comunicazione che ha accompagnato i grandi cambiamenti epocali della società attraverso le voci, la musica, i suoni…
A conclusione del volume la postfazione di Antonio Di Bella, “Una storia ancora attuale”, nel 2004 direttore del Tg3, inviato speciale, corrispondente da New York e poi Parigi, autorevole commentatore sempre in casa Rai. Riportiamo qui il suo breve commento al libro che suggella un enorme lavoro di collaborazione e ricerca.
Una storia ancora attuale
“È stata un’italiana, Giovanna Botteri, a raccontare per prima in diretta al Tg3 l’inizio dei bombardamenti americani su Baghdad nel 2003. È stato un italiano, Amerigo Gomez, ad annunciare per primo dalle onde di Radio Sardegna la resa della Germania alle Forze alleate nel 1945. Quasi sessant’anni dividono questi due avvenimenti, ma il messaggio è lo stesso: passione, professionalità, orgoglio e tenacia sono armi universali, capaci di capovolgere qualsiasi gerarchia di potere. Il monopolio della CNN, le veline del Pentagono, la forza d’impatto della tecnologia americana superate negli anni Duemila da una giornalista di un piccolo Tg italiano armata di un videotelefono e sorretta dalla passione dei telecineoperatori al lavoro con lei in quel momento. Il mito inarrivabile di Radio Londra e la morente censura fascista ridicolizzate ieri dalla passione di un manipolo di ragazzi appassionati e competenti in Sardegna.
C’è tanto da imparare da queste due storie. Invece che stare alla finestra, in un’Italia divisa, con i reali fuggiti a Brindisi e una repubblica di Salò morente ma minacciosa, quei ragazzi in Sardegna, “i radiosardegnisti”, i pionieri della prima “Voce libera d’Italia”, si sono rimboccati le maniche e hanno scritto una pagina storica per l’informazione italiana. Quasi un vademecum da mandare a memoria oggi nelle scuole di giornalismo: andare a vedere, ascoltare, capire e raccontare al di là di schemi, preconcetti, convenienze. E che dire del magistrale incontro fra il giovane Jader Jacobelli e l’ufficiale di collegamento delle Forze armate americane? Anche qui un manifesto per le giovani generazioni.Mai si potrà acquistare, ottenere o intascare a priori una patente di indipendenza, autonomia, libertà. L’unico modo per garantirle è il proprio lavoro, la propria onestà, il proprio coraggio.
Era, va detto, un mondo diverso, in cui al seguito delle truppe alleate c’erano uomini come Guido D’Agostino e un certo Misha Kamenetsky, il grande giornalista Ugo Stille, che diventerà poi corrispondente e infine direttore del “Corriere della Sera”. Era un mondo in cui gli Stati Uniti erano sinonimo di libertà, informazione, diritti civili, contrapposto al “male assoluto” dell’universo politico nazifascista.
Il mondo post 11 settembre ci consegna oggi una realtà più complessa, specie riguardo ai valori guida americani (almeno quelli rappresentati dai “neo-conservativi”). Ma quel che non cambia è la ricetta migliore per affrontare la realtà oggi come ieri: lo spirito entusiasmante e “brado” di quella vera e propria “nuova frontiera” dell’informazione che fu l’indimenticabile Radio Sardegna”.