Se non fosse per una notizia di cronaca apparsa di recente è probabile che ben pochi lettori si chiederebbero dove si trovi il Donbass e che cosa stia succedendo nel Mar Nero oltre il Bosforo, estremo passaggio del Mediterraneo orientale. La notizia racconta di un cinquantenne sardo ex poliziotto indagato dalla Digos di Cagliari per “arruolamento e addestramento con finalità di terrorismo”, sospettato di aver preso parte al conflitto armato che vede contrapposto il governo ucraino e i separatisti filo-russi del bacino del Donec. Secondo gli investigatori il sardo sarebbe un mercenario già finito in un’indagine per aver combattuto nel Donbass, in Ucraina orientale, dove nel 2014 è esplosa una guerra regionale che ha portato alla secessione di una fetta di territorio diventata repubblica indipendente. Dietro questo conflitto c’è la mano forte di Putin che, con la scusa di proteggere la maggioranza della popolazione di lingua e origini russe, ha mandato le truppe in appoggio ai secessionisti. Oltre il Donbass, Putin si è preso la penisola della Crimea, autoproclamatasi repubblica federata alla Russia con un contestato referendum. Un’azione definita illegale dall’Onu e non riconosciuta dalla comunità internazionale, ma di fatto la Crimea si è separata dall’Ucraina.
La lontana Crimea, per qualche curiosa analogia della storia, ci ricorda trascorsi del nostro processo risorgimentale. Nel 1855 il Regno sardo piemontese inviò un contingente di 16 mila uomini a fianco degli eserciti inglesi, francesi e turchi che combattevano anche allora contro i russi. Fu la prima spedizione militare all’estero dell’Italia non ancora unita, che si schierava con le grandi potenze europee. Molti soldati sardi furono inviati e morirono in gran parte di colera che falcidiò le truppe. Alcuni sono ricordati nelle lapidi del mausoleo riservato ai combattenti delle guerre del Risorgimento, al cimitero di Bonaria.
La vicenda dell’ex poliziotto sardo con la passione delle armi e la scelta professionale di guadagnarsi da vivere come contractor (sinomimo moderno di mercenario) al servizio di un paese in guerra, ci interessa relativamente o per niente. La guerra non conclusa tra Ucraina e separatisti del Donbass rappresenta invece un grave pericolo per le relazioni internazionali e per la pace in Europa, tra i punti più scottanti nell’agenda della Nato e dei prossimi vertici dei Grandi. Un conflitto – come dicono i politologi – a “bassa intensità” che, con improvvise impennate, fa fibrillare i rapporti tra Bruxelles, Washington e Mosca.
In gioco ci sono molti interessi a partire dalla politica espansionistica di Putin che rivendica per la Russia un rinnovato ruolo di superpotenza nello scenario da seconda “guerra fredda” che si sta profilando in questo decennio. Una guerra già in atto sul terreno dell’economia globale dove la posta in palio è il dominio dei traffici e del commercio. Stati Uniti e Cina sono i due protagonisti assoluti impegnati apertamente in questo conflitto del business planetario. L’Unione europea che rappresenta una fetta importante dei mercati (per popolazione e per ricchezza) cerca di non restare schiacciata nella morsa dei due colossi.
In questo contesto si fa largo l’ambizione dello zar della Russia post sovietica, che mira a inserirsi da protagonista in ogni confronto internazionale. Così la guerra in Ucraina acquista un valore ben oltre l’aspetto regionale, ma diventa un problema di discussione nei summit dei Grandi. Non è un caso che alla vigilia dell’ultimo vertice dei ministri degli esteri del G7, in programma a Londra ai primi di maggio, abbia mosso centomila uomini ai confini con l’Ucraina. Quando i toni della diplomazia mondiale si sono alzati, Mosca ha declassato ufficialmente questa dimostrazione di forza a semplice esercitazione militare. Ma nessuno può nascondere che si sia trattato dell’ennesimo avviso di Putin a Washington e Bruxelles, e agli stessi ucraini, per frenare l’ingresso di Kiev nella Nato. Un avamposto dell’alleanza occidentale ai confini russi che il Cremlino non può accettare.
L’attuale incertezza del quadro politico di certo rallenterà l’allargamento della Nato all’Ucraina e ad altri paesi dei Balcani, in attesa di capire come si evolveranno i rapporti già tesi tra Putin e Biden che ha rilanciato un ruolo pesante degli Usa sulla scena europea.