Quando un conflitto aperto sul piano internazionale supera i tre mesi è molto probabile che potrebbe durare anni, come dimostrano le esperienze in Iraq, LIbia e Afghanistan. Inoltre è impossibile prevedere una conclusione sulle posizioni conquistate sul terreno mantenendo lo status quo oppure arrivare ad una soluzione pacifica con una trattativa che accontenti le parti in guerra. Nel caso dell’Ucraina sinora Zelensky continua a manifestare la volontà del suo governo e del popolo a riprendersi i territori occupati a costo di qualsiasi sacrificio, mentre Putin non ha mostrato il minimo spiraglio teso a richiamare le truppe oltre i confini superati nel febbraio del 2022. Lo zar ha pienamente fallito il suo piano di una facile vittoria con un attacco fulmineo che si sarebbe dovuto chiudere in una settimana con l’insediamento a Kiev di un governo filorusso e la cacciata dei “nazisti” al potere. Questa è la tragica realtà sotto gli occhi del mondo.
In questa fase, dopo un anno e mezzo, nessuno può ipotizzare un epilogo a breve. Come abbiamo sentito di recente anche a Cagliari dalla voce di Massimo Nava, uno dei più prestigiosi inviati del Corriere della Sera ai margini della presentazione del suo ultimo libro dedicato alla nascita del quotidiano milanese. Nava, che ha seguito le guerre degli ultimi trent’anni, ritiene che solo la sconfitta sul terreno di Putin potrebbe far cessare i cannoni oppure uno stop alle ostilità potrebbe arrivare con una situazione del tipo “coreano” dove tutto si è fermato sui confini del 38mo parallelo all’estate del 1953. Da allora nessuno ha dichiarato una pace e la Corea resta divisa in un perenne conflitto mai concluso.
Un altro grande inviato del Corriere, Federico Rampini, ha pubblicato un saggio (“Il lungo inverno”) in cui sostiene come di fatto Putin abbia già perso la guerra. Non ha raggiunto neppure uno dei suoi obiettivi militari e politici, con un Occidente costretto al freddo per il blocco del gas russo e con le economie europee in ginocchio per le conseguenze del conflitto. Niente di tutto ciò si è verificato, mentre al contrario Putin ha ottenuto di far compattare tutti i Paesi “atlantici” aprendo le porte dell’alleanza alla Finlandia, alla Svezia e di fatto anche all’Ucraina. Se la sindrome dell’accerchiamento aveva spinto lo zar a scatenare questa scellerata guerra il risultato per il Cremlino è già disastroso, ma il prezzo è incalcolabile visto che ha portato enormi distruzioni, svuotato l’Ucraina (da 42 a 32 milioni di abitanti) e causato almeno 300 mila morti tra una parte e l’altra.
Il summit dell’Alleanza atlantica di Vilnius, nonostante l’insoddisfazione di Zelensky, ha comunque segnato passi avanti significativi nel sostegno al Paese invaso, in primis elevando la Commissione Nato-Ucraina a Consiglio e quindi rimuovendo i requisiti formali imposti dal piano d’azione per l’adesione. Gli Stati membri inoltre hanno condiviso la necessità di consolidare un piano pluriennale di sostegno militare.
La premier Giorgia Meloni sia a Vilnius che nei successivi incontri internazionali, ha ribadito il ruolo dell’Italia in piena sintonia con Biden e gli altri Paesi dell’Ue. A questo punto è lecito chiedersi cosa pensino gli italiani, oltre le note posizioni espresse nei talk show televisivi e le dichiarazioni dei partiti in Parlamento. Oggi sappiamo che Il 61 per cento è favorevole all’invio di armi e al supporto in favore dell’Ucraina. I dati pubblicati dall’Eurobarometro di Endh (European Data News Hub) sostengono la linea del governo, in particolare l’89% è favorevole all’invio di aiuti umanitari, il 91% all’accoglienza dei profughi di guerra, il 76% all’erogazione di aiuti finanziari e il 74% alle sanzioni contro Mosca. I numeri rivelano l’allineamento dell’Italia con i Paesi Ue, dove l’Eurobarometro ha misurato percentuali di adesione alle posizioni pro-Kiev simili a quelle prese in precedenza dal Governo Draghi e rafforzate in seguito dal nuovo esecutivo. In questo quadro appare scontato che si andrà avanti così chissà per quanto.