La guerra in Ucraina ha oscurato per un anno il problema dei migranti nel Mediterraneo che la tragedia davanti alla costa di Crotone ha riportato in primo piano con un clamore mediatico di forte impatto emotivo e politico. L’alto numero delle vittime, tra corpi recuperati e dispersi oltre un centinaio. Le cause dell’affondamento probabilmente più che la tempesta dovuto ad una manovra azzardata degli scafisti che hanno accelerato e cambiato rotta all’improvviso per timore di essere intercettati. Operazione che ha portato il barcone “Summer Love” contro gli scogli di una secca quando la salvezza sulle spiaggia calabrese era a un centinaio di metri. Le polemiche sulla macchina dei soccorsi, non già quando il naufragio era già avvenuto e bisognava salvare i superstiti, quanto il rimpallo delle responsabilità si chi dovesse intervenire per soccorrere il barcone lungo la rotta di avvicinamento all’Italia. Spettava all’agenzia europea Frontex dare l’allarme e chiedere l’invio immediato di mezzi oppure al Paese al quale compete l’area marittima dove stava transitando il barcone? Su tutti questi punti si è scatenata la bagarre politica ed è riparto il dibattito silenziato dal conflitto scatenato da Putin. La guerra non ha certo fermato i flussi di migranti verso l’Europa occidentale che ha aperto generosamente le porte agli ucraini in fuga dalle bombe dei russi. Ma neppure il fiume di disgraziati che hanno continuato a scappare dall’Afghanistan dove il regime dei talebani è diventato ancora più duro, dal Kurdistan, dalla Siria e dall’Africa sahariana. Il terrificante sisma in Turchia non ha fatto che aumentare questo flusso riportando in auge la rotta mediterranea settentrionale, lungo la direzione Grecia-Malta-Italia. Proprio come è accaduto per il “Summer Love” con oltre cento migranti che avevano pagato dai cinque e ai diecimila dollari per un viaggio della morte mentre si annunciava l’arrivo di una forte perturbazione.
Ora mentre si contano i morti e si cercano i fondi per riportare le vittime dentro una bara nelle terre di origine, le inchieste della magistratura italiana e delle autorità competenti dovranno fare luce sulle responsabilità. Come andranno è prevedibile immaginare, è un film visto tante volte in passato. Sotto inchiesta i quattro scafisti già individuati e poi la catena di comando dai massimi vertici politici e militari, sino ai centri operativi che avrebbero dovuto intervenire tempestivamente per evitare l’affondamento.
La tragedia nel mare di Curto ha riaperto con forza la questione politica delle scelte che devono essere fatte oltre quelle già esistenti per il governo italiano e per l’Unione europea chiamata ad assumersi le sue responsabilità, soprattutto in questo momento in cui la Turchia, che aveva ricevuto sette miliardi di dollari dall’Ue per fermare i flussi dall’Oriente, ha da pensare a ricostruire le distruzioni del terremoto.
La posizione della premier Giorgia Meloni è chiara e lo ha ribadito in questi giorni: dobbiamo fermare i flussi alle origini con aiuti e collaborazione con i Paesi rivieraschi. Il dibattito è già infuocato con l’opposizione che sembra essersi risvegliata. Qui vogliamo sottolineare il fatto che bisogna far chiarezza sulle competenze già stabilite per i soccorsi in mare. Da una parte c’è l’Agenzia Frontex, fondata nel 2004 dai Paesi Ue, il cui compito istituzionale consiste nell’ «assistere gli Stati membri dell’Ue e i paesi associati Schengen nella protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’Ue. Nel 2016 – si legge nel suo sito – l’Agenzia è stata ampliata e potenziata: il suo ruolo è stato esteso dal controllo della migrazione alla gestione delle frontiere e le sono state affidate maggiori responsabilità nella lotta alla criminalità transfrontaliera». Dunque compiti essenziali di polizia a difesa della «fortezza Ue».
Ma a chi spettano i soccorsi in mare? La convenzione di Amburgo del 1979 ha suddiviso il Mediterraneo nelle cosiddette «zone Sar» (Search and rescue): all’interno di ciascuno di questi quadranti marini le operazioni di soccorso spettano allo Stato a cui è assegnata quella zona Sar. Dunque la responsabilità ricadrebbe sulle autorità nazionali. Ma lo stesso trattato si fonda su un principio di «cooperazione internazionale»; e il trattato Unclos del 1982 – sempre riguardante la sicurezza della navigazione – ribadisce «l’obbligo di prestare soccorso».
Frontex deve partecipare ai soccorsi? La risposta si legge nel sito istituzionale dell’agenzia: «In conformità con il diritto internazionale, le operazioni di ricerca e soccorso sono sempre coordinate dai centri di soccorso nazionali…ogni volta che un aereo di Frontex incontra un’imbarcazione in pericolo, allerta immediatamente tutti i centri operativi vicini: Italia, Malta e Tunisia per accelerare potenzialmente l’operazione di soccorso e migliorare il coordinamento». Altrettanto fanno le navi commerciali e Ong. Ma questo è avvenuto per il barcone “Summer Love”? Le autorità italiane sostengono di essere state avvertite riguardo ad una nave in difficile navigazione per il maltempo, ma non in pericolo. Per questo non sarebbero scattati subito i soccorsi.
Qui è doveroso, invece, sottolineare il ruolo della Marina militare sempre pronta a rispondere ad ogni chiamata, nel rispetto della catena di comando, con qualsiasi meteo e pericolo. La nostra Marina – non per fare da megafono al ministro Salvini, ma è la storia che lo testimonia – conta un patrimonio umano e professionale di straordinaria eccellenza, magari per questioni di bilancio della Difesa abbiamo una flotta ridotta all’osso, ma sempre efficiente. Ricordiamo le operazioni per salvare i boat people vietnamiti nel Mar Cinese meridionale nell’estate 1979 (la prima missione all’estero dopo l’ultima guerra) o i soccorsi con la portaerei Cavour dopo il terremoto di Haiti agosto 2021. Solo due casi celebri.
Quella storia di uomini, tradizioni, competenze, orgoglio per la divisa e per il tricolore, ci riportano a personaggi mitici quali il comandante Salvatore Todaro a cui è intitolato un moderno sommergibile. Eroe pluridecorato e protagonista di epiche imprese fu ucciso da una mitragliata di un aereo inglese nel 1942. Nel recente libro di Sandro Veronesi ed Edoardo De Angelis a lui dedicato ricordano l’episodio del sommergibile Cappellini a Gibilterra, quando affondò una nave belga che navigava a luci spente in un convoglio che trasportava velivoli inglesi. Mentre il mercantile affondava in fiamme i marinai videro avvicinarsi a nuoto e in una scialuppa i superstiti. Naufraghi che puntavano con le forze residue sul nero sommergibile che li aveva aveva appena affondati. L’ordine n. 154 dell’ammiraglio tedesco Donitz era chiarissimo: bisognava lasciare in mare i naufraghi e andarsene. Ma anche gli ordini di Lord Cunninghan, per gli inglesi e dello stesso Churchill, erano uguali: colpire, affondare, sparire.
Che fece Todaro? Ordinò di recuperarli e poi navigò verso il relitto in fiamme per salvare tutti gli altri. Quando poi li sbarcò sulla costa delle lontane Azzorre, il comandante belga Vogels che sino a quel momento era stato in silenzio, disse a Todaro: «Voi sapete che al vostro posto io non vi avrei preso a bordo?. «È la guerra », gli rispose. Allora Vogels gli chiese: «E voi perché ci avete salvato?». Todaro lapidario: «Perché noi siano italiani». Una lezione che nessun marinaio italiano siamo certo ha mai dimenticato.