Nel 2024 si voterà in oltre settanta Paesi nel mondo. L’anno elettorale più affollato di sempre, un anno che potrebbe ridisegnare gli equilibri politici ed economici del pianeta. Interessa due miliardi di persone, ben otto dei dieci Paesi più popolosi, dall’India (maggio) agli Stati Uniti (novembre). Tutto questo mentre non si vede la fine della guerra in Ucraina e divampa l’offensiva di Israele nella Striscia di Gaza. Putin nel discorso di fine anno ha dichiarato di essere disponibile alla pace, ma senza perdere alcun territorio e alle sue condizioni.
Quindi non si tratta di un’apertura verso reali trattative, ma di una esplicita conferma che lo “zar” è pronto ad andare avanti con un conflitto di logoramento in attesa che proprio le elezioni americane possano dare qualche nuova prospettiva. Una vittoria di Trump potrebbe rimettere in discussione l’impegno degli Usa sia nell’appoggio con ingenti aiuti a Kiev, sia il ruolo dominante all’interno della Nato. Un pericolo – come l’ex ambasciatore e autorevole opinionista Sergio Romano continua a rilevare nei suoi interventi – porterebbe a ridiscutere l’intero assetto dell’Alleanza atlantica e riproporrebbe con urgenza la costituzione di una unica forza armata europea. Una voce che sinora non ha trovato seguito nel dibattito nazionale sulla Difesa, essendo tutti i partiti concentrati sulle prossime elezioni dell’Unione europea (determinante appuntamento di giugno) e sul voto americano di novembre. Come dire: discorso prematuro per il nostro Parlamento, che confida sempre su Washington dove in ogni caso si giocherà il futuro della Nato piuttosto che a Bruxelles.
Gli occhi sono ora tutti puntati sulla prima decisiva scadenza, sabato 13, dove si voterà a Taiwan con l’ombra della presenza ostile di Pechino che vuole influenzare l’esito del voto per arrivare alla “riunificazione della provincia”. Il leader Xi Jingping spinge per la sconfitta di William Lai del partito democratico progressista, in testa nei sondaggi, contando sull’ex capo della polizia Hou You.ih candidato del Kuomintang, il partito che sostiene Pechino.
I piani dei due autocrati, Putin e Xi, tuttavia incontrano difficoltà crescenti. Il regime russo non è saldo come lo zar vuol far credere sotto il peso di spese astronomiche e di un bilancio di vite umane inimmaginabile per un conflitto che doveva essere lampo e invece si sta prolungando a dismisura grazie all’eroica resistenza degli ucraini e alla compattezza mostrata sinora dall’Occidente nel sostenerli (nonostante le crepe e l’ostruzionismo di alcuni governi). E il sogno vagheggiato da Xi non è così realizzabile a causa di una crisi evidente che non ha portato al previsto sorpasso degli Usa. L’economia cinese indietreggia in ogni settore o si è fermata a causa di una serie di errori del nuovo Mao, come dimostra la fine della “China Belt”, da cui anche l’Italia si è sfilata abbandonando definitivamente la sua partecipazione alla “Nuova via della Seta”, il colossale progetto economico e politico, lanciato nel 2013 da Xi con 25 miliardi di investimenti solo nel nostro Paese. Gli Stati Uniti nel dopo Covid hanno dimostrato di essere ancora in grado di assolvere al ruolo di registi del mondo libero.
Di fronte all’entità della sfida l’Occidente deve restare unito come ha dimostrato finora sull’Ucraina, resistendo alle forze centrifughe guidate dai sovranisti. Mentre la Nato ha riacquistato tutto il suo significato di alleanza per mantenere viva la democrazia sotto attacco. Due posizioni politiche decisive per il prossimo futuro del mondo libero, come ha ben spiegato Claudio Pagliara, corrispondente della Rai prima a Pechino e ora a Washington, presentando il suo ultimo libro anche a Cagliari. “La tempesta perfetta” (s’intitola il saggio, non a caso) scatenata con la guerra in Ucraina e a Gaza e che potrebbe far esplodere la Terza guerra mondiale può ancora essere scongiurata. A patto che l’Ucraina non debba cedere alla Russia e la Cina non usi la forza per prendersi Taiwan. Molto dipenderà dagli esiti delle elezioni dei prossimi mesi.