Eletto il Parlamento, ora bisogna ripartire con l’azione politica determinata dai nuovi rapporti di forza all’interno dell’assemblea di Strasburgo e delle commissioni di Bruxelles. Il negoziato sul prossimo bilancio è fondamentale perché la ripartizione che ne emergerà sarà l’indicatore delle priorità politiche, sociali ed economiche dell’Unione nei prossimi sette anni. La maggioranza degli elettori ha confermato il quadro precedente, seppure dovrà tenere conto delle spinte nazionaliste e sovraniste che alzeranno i toni della loro voce. Con l’Italia a trazione leghista che si trova nella complicata posizione di essere presente nella maggioranza europeista, ma con la Lega schierata nei banchi dell’opposizione. Su questo nodo nevralgico si sta concentrando il dibattito politico e si soffermano gli autorevoli opinionisti. Di certo saranno mesi caldi perché la discussione sul bilancio ha messo in luce la reale volontà degli Stati membri di procedere con l’integrazione europea, evidenziando però le diverse posizioni dei partiti vincitori del giro elettorale.
Alcuni come l’Italia chiedono risorse sufficienti per finanziare le nuove priorità (migranti, difesa e sicurezza) e quei settori che possano portare a un miglioramento della competitività europea nei confronti delle grandi superpotenze quali Usa, Russia e soprattutto Cina senza tagli a coesione e agricoltura. Anzi, mantenendo uguali le attuali risorse e prevedendo una maggiore flessibilità del bilancio Ue per essere usato nelle situazioni di emergenza.
Superata la fase elettorale e in attesa delle nomine bisogna subito pensare alla futura azione dell’Ue. Tra i temi più urgenti in discussione le linee di politica estera e di Difesa, che vanno sullo stesso binario: dalle decisioni di come muoversi sullo scacchiere internazionale e nel confronto con i tre giganti mondiali, dipenderà molto l’organizzazione militare e quindi il bilancio per armamenti, missioni di pace, strategie comuni nei punti “caldi” del Continente.
Le priorità sono la guerra in Libia di cui non si riesce a trovare una soluzione condivisa per una pace quasi impossibile nelle attuali condizioni; la stabilità nel Mediterraneo; il conflitto silente del Donbass che ha fatto 10 mila morti tra Ucraina e indipendentisti filorussi. Mosca continua a tenere in ostaggio tre navi ucraine, con i rispettivi equipaggi, sequestrate mentre attraversavano lo stretto di Kerc tra Mar Nero e Mar d’Azov in acque “condivise” mentre Putin continua a ignorare tutti gli appelli. Importanti saranno le decisioni di incrementare l’ombrello protettivo di uomini e armi (già in fase di attuazione) ad Est, come richiesto da Polonia e Paesi Baltici e già previsto dai Piani della Nato, ma soprattutto bisognerà definire il modello di esercito europeo alla luce degli ultimi eventi politici.
Il processo volto alla creazione di una Difesa europea ha ricevuto una forte accelerazione negli ultimi due anni e si presenta oggi come un progetto notevolmente più solido, seppure ancora in fase di programmazione. Alla base di questa rinnovata volontà di modellare una Difesa comune vi sono, di certo, delle necessità di sicurezza rilevanti (si pensi al terrorismo), all’inasprirsi delle minacce di tipo ibrido o all’instabilità di alcuni scenari come quello del fronte meridionale (Libia), ma anche dei forti stimoli ricevuti sia da Londra che da Washington.
Per quanto riguarda la Gran Bretagna, da sempre principale oppositore alla creazione di una Difesa comune, la Brexit agevolerà la discussione interna all’Ue. Oltreoceano, invece, la rigida posizione assunta da Trump nei confronti dell’Europa sin dai primi momenti della sua presidenza, ha già determinato un ripensamento sulla struttura della Nato che può far riaprire il dibattito sulla creazione di un esercito europeo. Come è noto Trump ha richiesto agli Stati europei di assumersi maggiore responsabilità per la Difesa incrementando la propria spesa militare in previsione di una riduzione della presenza americana come “guardiana” dell’Europa.
L’Italia ha varato nei giorni scorsi la nuova portaerei “Trieste”, attrezzata per interventi a tutto campo (anche missioni umanitarie in zone di calamità) che entrerà in servizio nel 2022. E deve ancora decidere sul numero degli aerei F-35 (di fabbricazione americana) sui quali il governo gialloverde ha già messo uno stop, ma il programma di ammodernamento dell’Aeronautica sarà da completare.
Il progetto della Difesa Ue oggi si presenta come un puzzle i cui pezzi mancati sono ancora numerosi. Le sfide da affrontare, infatti, sono tante: da tendenze a collaborazioni di stampo bilaterale (vedi accordo per un esercito misto tra Francia-Germania) a pressioni provenienti da oltreoceano e le difficoltà a portare a termine i progetti avviati. Il nuovo Parlamento sarà chiamato a dare risposte sulle politiche che facilitino gli sforzi dei singoli Paesi, proteggano il mercato militare europeo dalle pretese delle lobby americane e mantengano buoni i rapporti con Cina e Russia.