La Libia è nel caos in una situazione sempre più confusa. Attacchi, morti e accuse reciproche tra Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar. Proprio ciò che si aspettava Erdogan per dare il via al suo piano militare in appoggio al governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu. Ora come si muoverà l’Italia di fronte a un vero conflitto? Lo schieramento di migliaia di soldati turchi sul terreno a fianco del presidente Al Sarraj pone problemi nuovi rispetto alla politica delle missioni di pace a cui sinora abbiamo preso parte. La presenza in Libia delle forze di Erdogan (la seconda potenza militare della Nato dopo gli Usa) ha aperto orizzonti inediti per il ruolo che dovrà svolgere l’Italia. Ricordiamo che su questi temi è il Parlamento a decidere e non il governo e questo spiega l’atteggiamento cauto del premier Conte e degli altri leader politici davanti all’escalation avviata da Erdogan. Tutti lanciano appelli a destra e a manca, invocano l’Onu e un’azione pacificatrice della Ue, consapevoli che il sultano turco non si fermerà. Saranno giorni difficili di questo gennaio che apre un anno ricco di incognite sulla scena mondiale sconvolta dagli eventi tra Usa e Iran e dai conflitti interni in Libia, Iraq, Afghanistan e Siria.
Dopo il benestare ricevuto dal Parlamento turco, Erdogan non ha perso tempo per inviare a Tripoli uomini e armi. Il sultano turco, che fa arrestare in massa i dissidenti e che tiene nelle carceri una cinquantina di giornalisti, non si preoccupa certo dei suoi soldati che inevitabilmente moriranno negli scontri. Agisce sullo scenario internazionale con una disinvoltura sconcertante, senza informare preventivamente (come stabilisce il trattato) gli alleati della Nato e cambiando tavolo ad ogni giro di roulette. Oggi Putin, il nemico di ieri, è il suo interlocutore più vicino con cui agire in Siria come in Libia, anche se qui lo “zar” di Mosca, insieme al presidente egiziano Al Sisi, per ora appoggia Haftar.
E l’Italia, dicevamo? Abbiamo ancora mille uomini in Iraq e ottocento in Afghanistan, in attesa di decidere il futuro di queste missioni di pace senza fine per il persistere dei conflitti interni. Inoltre siamo a capo di una missione Unifil con un altro migliaio di militari in Libano dove, a breve, dovranno arrivare i reparti della Brigata Sassari.
Ipotizzare un invio a Tripoli di truppe sul terreno per non lasciare il campo libero a turchi e russi, sembra impossibile per molte ragioni, a partire da quelle di politica interna ed elettorali. Anche solo a pensare ad una forza di interposizione e controllo, come in Libano, Somalia e in altre operazioni dell’Onu.
Vi immaginate i militari italiani schierati sul fronte libico, incerti sulle regole di ingaggio che devono arrivare da Roma dopo una serie di consultazioni tra generali delle varie Armi, ministri, premier e leader alleati? Alcuni esempi ne abbiamo avuti in Afghanistan dove si è sparato negli avamposti di confine. Un solo soldato italiano morto all’estero è una tragedia nazionale che scatena interrogazioni parlamentari, proteste popolari e richieste di immediato ritiro. Erdogan e Putin non hanno questi problemi e qualsiasi decisione prenderanno, non avranno conseguenze politiche nemmeno di fronte a centinaia di vittime tra i loro militari, come insegna la recente storia. E tanto per iniziare si parla di un migliaio di “addestratori” turchi, volontari siriani e di contractors (cioè mercenari) già in azione per spazzare le truppe di Haftar dalla zona di Tripoli e poi conquistare Bengasi.
La preparazione delle nostre forze armate non è in discussione, per capacità professionali, competenze e tecnologie a cui si aggiungono le qualità umane che contraddistinguono i militari italiani rispetto ai colleghi degli altri eserciti. Nessuno meglio di noi si sa muovere nel terreno tra le popolazioni locali e da queste è rispettato e accolto con favore. Come dimostrano proprio le missioni in Iraq e nell’area di Herat. Ma dalla seconda guerra mondiale in poi la parola “guerra” intesa come conflitto offensivo è stata bandita dalla Costituzione (articolo 11). Possiamo solo difenderci nel rispetto dei trattati e delle risoluzioni determinate dall’Onu e dalla Nato.
L’accelerazione degli eventi è «confusa e pericolosissima», ha detto il ministro Di Maio in vista del vertice che dovrà decidere una missione diplomatica europea. Se si svolgerà a breve e se sarà in grado, ma non è scontato, di trovare una linea comune.
I francesi, che hanno sulla coscienza l’innesco della crisi libica, sinora hanno aiutato Haftar. Tedeschi e inglesi, invece, sono vicini alla posizione di Roma che invoca un cessate il fuoco e una ripresa del dialogo per trovare una soluzione pacifica.
Ciò che succederà nei prossimi mesi in Libia, a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, apre davvero inquietanti interrogativi su come l’Italia dovrà muoversi per tutelare i confini e gli interessi nazionali. Di certo né Roma e neppure il consesso internazionale, sembrano oggi in grado di fermare Erdogan, in pieno delirio di onnipotenza.