La Polexit è un bluff

L'Ue contro il sovranismo polacco

Il vento dell’Est porta ad occidente gli echi di una Polonia in fermento che riaccende lo scontro tra l’Ue e i Paesi sovranisti. Un momento delicato per l’Europa che cerca di uscire dal tunnel della pandemia e nel contempo di far ripartire in sicurezza l’economia colpita da due anni durissimi. Dopo la “Brexit”, a Bruxelles si avvertono le fibrillazioni di un’altra nazione dove i sovranisti più accesi (che poi sono al governo) lanciano slogan di una possibile uscita di Varsavia dall’Unione. Ma quale credibilità può avere la “Polexit” di un Paese che sinora ha sempre preso molto di più di quanto dato? Tipico dei sovranisti alzare la voce e minacciare per rafforzare posizioni interne e ottenere ulteriori benefici dall’esterno.  

Jaroslaw Kaczynski, leader del PsI

Per capirci la Polonia si appresta a prendere 36 miliardi di euro, di cui 24 a fondo perduto. Nel bilancio comunitario (anno 2018) la spesa totale dell’Ue in Polonia è stata di 16 miliardi, pari al 3,43 per cento dell’economia polacca. Di contro Varsavia ha contribuito al bilancio dell’Ue con poco meno di 4 miliardi, pari allo 0,84 dell’economia polacca. Il concetto statutario prevede che il contributo finanziario di ciascun Paese dell’Ue al bilancio dell’Unione venga calcolato in maniera equa, in base alle rispettive possibilità: più grande l’economia del Paese, maggiore il suo contributo, e viceversa. Quindi per i polacchi parlare di “Polexit” in questo quadro economico è insensato, mentre acquista un significato diverso in chiave politica.

Ho lavorato quasi due anni a Varsavia quando il gruppo L’Unione Sarda-Videolina rilanciò l’agonizzante quotidiano della capitale e creò il primo network privato di televisioni locali. Erano gli anni ’90, dopo il crollo del blocco sovietico e la nascita della nuova repubblica polacca. Ma già stava tramontando il mito di Lech Walesa con gli ideali di Solidarnosc per lasciare il campo ai manager rampanti postcomunisti guidati dal quarantenne Aleksander Kwaśniewski che resterà presidente per dieci anni. Ci volle poco per capire la psicologia generale dei polacchi, che da sempre si sentono vittime della storia e quindi rivendicano un eterno risarcimento dagli occidentali. Prima dominati dall’impero zarista, poi dai nazisti, quindi sotto i sovietici. Ad ogni guerra invasi e massacrati ora da una parte, ora dall’altra. Con la libertà conquistata nel 1989 ritenevano giunto il momento di entrare nell’Europa democratica e di passare all’incasso, pensando di avere acquisito molti diritti, ma pochi doveri. 

In quegli anni gli hotel si affollarono di manager tedeschi, americani, francesi e italiani che portavano dollari e marchi per far nascere una nuova economia di mercato. In quel contesto gli stranieri dovevano mettere i soldi e assumersi i rischi d’impresa, mentre ai polacchi via libera per potersi arricchire grazie a leggi societarie a loro favorevoli. Il gioco è durato un decennio, poi gli investitori occidentali sono fuggiti verso mercati più sicuri. Nel 2004 Varsavia alla fine è stata ammessa nell’Ue, ma evidentemente la mentalità generale non è cambiata.

Tornando ad oggi, l’attuale sfida sovranista nasce dal governo di Mateusz Morawiecki, una semplice pedina mossa dall’uomo forte Jaroslaw Kaczynski, leader del partito conservatore e populista PiS, al potere dal 2015. Con l’appoggio dell’’ungherese Orbàn e degli altri leader nazionalisti europei, italiani compresi.

Ad accendere le polveri la sentenza della Corte costituzionale polacca che si è pronunciata sulla preminenza della leggi nazionali rispetto a quelle comunitarie, alla quale si è aggiunta la richiesta – insieme ad altri undici Paesi – di finanziamenti per proteggere le loro frontiere dai migranti provenienti dall’Oriente. La reazione dei vertici di Bruxelles, come sappiamo, è stata decisa e immediata contro la costruzione di muri. In realtà queste azioni vanno lette più in chiave interna, perché non rispecchiano tutti i polacchi, come dimostrano le recenti manifestazioni di piazza contro il governo. Milioni di polacchi si riconoscono nell’opposizione europeista di Donald Tusk piuttosto che in Kaczynski, ma non basta per frenare le politiche illiberali del governo contro la stampa, l’aborto libero, l’accoglienza. Di certo non è possibile pensare all’espulsione della Polonia dall’Ue (una procedura non prevista dai Trattati), ma è altrettanto certo che si può arginare l’arroganza sovranista con lo stop ai finanziamenti in mancanza di garanzie sui temi in discussione.

                          

Fonti:

L’Unione Sarda, 19.10.2021

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