Il recente accordo firmato a Roma tra Regione, Crs4 e il colosso Huawei per lo sviluppo di tecnologie al servizio dei cittadini e delle imprese, rilancia la presenza cinese in Sardegna in modo nuovo e sempre più penetrante. Non solo negozietti low cost o megastore dove trovi tutto, ma ora piombano i grandi marchi cinesi. Un salto di qualità del mercato che apre orizzonti poco noti ed esplorati per la nostra debole economia.
Una volta andava di moda lo slogan: “la Cina è vicina”. Era il titolo provocatorio del secondo film del giovane Marco Bellocchio che nel 1967, anticipando gli sconvolgimenti politici e sociali in arrivo con i movimenti del Sessantotto, evocava nella borghesia democristiana e perbenista i timori del comunismo maoista. In realtà la Cina era molto lontana, povera e rinchiusa in un regime totalitario sconosciuto a noi occidentali, ma mitizzato dagli studenti extraparlamentari come simbolo della rivoluzione, in antitesi con l’ortodossia dei comunisti italiani legati a Mosca. Mai come oggi, invece, la Cina è a noi vicina, dentro le nostre città, i quartieri, gli affari. E lo sarà ancor di più in uno sviluppo esponenziale che porterà il Paese più popoloso del mondo a conquistare i mercati europei e africani.
Quando nel secolo scorso hanno cominciato ad immigrare in Italia, le comunità cinesi si sono concentrate nel piccolo commercio, nei ristoranti mandarini, nelle fabbriche tessili della Toscana, creando realtà locali circoscritte soprattutto nelle periferie urbane. Le Chinatown si sono moltiplicate, così pure le attività, mentre i cinesi di terza generazione nati in Italia parlano solo italiano. Con liquido contante alla mano durante la crisi si sono espansi comprando aziende decotte e aprendo empori sempre più grandi. Oggi in Italia i cinesi sono 320 mila.
(qui i Pdf dell’articolo che inizia in Prima pagina e segue a pag. 14)
Ma ora puntano in alto, altro che ristoranti con le lanterne rosse. Sono partiti alla conquista dei mercati internazionali lanciando la sfida ai giganti occidentali sul loro terreno: la costruzione delle infrastrutture dove far transitare la merce prodotta in Cina e destinata a tutti i Paesi. Le notizie apparse su giornali e tv hanno avuto un certo risalto, ma senza particolari clamori. Ne riparleremo fra dieci anni, forse meno, quando i cinesi saranno i veri padroni del mondo.
Il 3 settembre scorso a Pechino il presidente Xi Jinping, alla presenza dei leader di 53 Paesi africani, ha annunciato 60 miliardi di aiuti allo sviluppo per l’Africa. Quindici miliardi sono costituiti da aiuti gratuiti e prestiti senza interessi. Pechino ha promesso anche l’annullamento del debito dei Paesi più poveri. Enormi progetti umanitari, ma non si può credere a un piano Marshall cinese senza ipotizzare un immenso ritorno economico e strategico a vantaggio di Pechino.
In realtà la strategia espansiva ha mire ben più planetarie, puntando sui floridi mercati della ricca Europa. Pechino – come racconta Milena Gabanelli in un’inchiesta sul Corriere – è pronta a mobilitare almeno 1000 miliardi di dollari nel progetto noto come “Via della Seta”. L’obiettivo è unire attorno alla Cina l’intera Asia e collegarla con l’Europa attraverso strade, ponti, ferrovie, gasdotti e oleodotti, parchi industriali e una poderosa logistica sulle vie d’acqua, con porti e infrastrutture collegati negli oceani Pacifico e Indiano e nel Mediterraneo, sulle rotte delle sue merci e dei suoi interessi politici.
Il punto più significativo in Europa al momento è a Duisburg, in Germania, scelto dai cinesi come hub per l’arrivo della ferrovia dall’Est cinese. Giungono circa 30 treni la settimana carichi di container. I prossimi obiettivi sono hub ferroviari e portuali in Belgio, Polonia, Grecia, Spagna, nei Balcani e sino all’Italia (Vado Ligure).
Se il progetto seguirà i desideri del presidente Xi, si formerà una ragnatela di infrastrutture che unisce l’Asia dell’Est, l’Asia Centrale, la Siberia, la Russia e l’Europa, con Pechino al centro. In pratica sarà un supercontinente dominato dagli interessi cinesi in economia e in geopolitica. Da far paura.