Sì viaggiare, ma dove? Il 2017 si è chiuso con numeri record del turismo che si sta riprendendo alla grande dopo lo choc da terrorismo. Quindici milioni di italiani sono andati in vacanza per le feste di dicembre, prediligendo all’87 per cento mete nazionali tra montagna, città d’arte e località turistiche. Mentre due milioni e 400 mila sono andati all’estero. Emergono segnali di una riapertura di alcune destinazioni interrotte da alcuni anni dopo terrificanti attentati contro i turisti, quali l’Egitto nei villaggi del Mar Rosso e la Tunisia. Gli italiani ricominciano a viaggiare ovunque, anche se continuano a sentirsi più sicuri nel nostro Paese. Cosa ben comprensibile se si pensa che l’Italia è il quinto Paese più visitato al mondo e una delle mete più desiderate nell’immaginario collettivo di tanti stranieri. I dati, riportati dal Touring Club, certificano che la nostra industria turistica vale 70,2 miliardi di euro (4,2% del Pil) che salgono a 173 miliardi (10,3 % del Pil) se si aggiunge l’indotto, con 2,7 milioni di lavoratori del settore.
La Sardegna e Cagliari in particolare hanno beneficiato di questi incrementi soprattutto con le crociere, dopo la cancellazione di tappe a rischio terrorismo lungo le rotte del Mediterraneo. Il turismo, dunque, si conferma come uno dei settori trainanti dell’economia nazionale, approfittando di una congiuntura internazionale favorevole. E non è un caso se il governo Gentiloni con il ministro degli Interni Minniti abbiano adottato importanti misure per garantire la sicurezza nelle nostre città in chiave antiterroristica. Il vero problema, inutile nasconderselo, è che nessuno può garantire una sicurezza assoluta in alcun luogo, neppure con i controlli più stretti. Come ha dimostrato a Milano il vulcanico Valerio Staffelli delle “Iene” che in auto, alla vigilia di Natale, ha circolato indisturbato in mezzo alla folla tra piazza Duomo e Corso Vittorio Emanuele senza essere fermato e senza trovare ostacoli.
(nel link l’articolo sul giornale: turism )
I pericoli arrivano da cellule organizzate di Jihadisti (a Parigi, Bruxelles e Londra), ma anche dai cosiddetti “lupi solitari” che attaccano dove meno te l’aspetti e sono pure i più difficili da individuare e fermare nell’azione di intelligence dell’antiterrorismo. Così in Italia e all’estero dove i fondamentalisti colpiscono nei Paesi che più contano sul turismo per l’economia e lo sviluppo.
Esiste una “classifica” dei Paesi a rischio che cambia ogni giorno e che ciascun turista dovrebbe consultare sul sito della Farnesina prima di scegliere una destinazione. E torniamo alla domanda iniziale: viaggiare si può, il mondo non può fermarsi per il timore degli attentanti, ma come si fa per ridurre i rischi? Oggi il viaggiatore sta imparando a vivere con la “sindrome degli israeliani” che da sempre convivono col terrorismo, ma continuano una vita normale.
Gli israeliani sanno, sin dalla prima infanzia, che si devono adottare molte piccole cautele e un minimo livello di attenzione. Ai bambini spiegano che capitare nel mezzo di un attentato, nel calcolo delle probabilità, è molto più basso di avere un incidente statale. Quindi tutti possono uscire di casa, andare a scuola o al lavoro, ma sempre tenendo presenti quei consigli per abbassare la percentuale di rischio.
Non dimentichiamo che per i turisti, a differenza di quanto molti pensano, Israele è una meta più sicura di qualunque città europea.
Noi europei non siamo abituati a convivere con la violenza e per questo gli attentati nelle grandi capitali come a Nizza o a Manchester ci hanno fatto più male e l’effetto choc è stato devastante. Ma viaggiare si può e anzi si deve perché il turismo, oltre ad essere un piacere e un fenomeno culturale che avvicina i popoli e i luoghi più lontani, è anche una voce importante nell’economia di molti Paesi, tra cui – come abbiamo visto dai numeri – anche dell’Italia.