Il Sud America in ebollizione

Finisce nel caos la "marea rosa" dei governi di sinistra

Con l’uscita di scena di Evo Morales dimessosi da presidente della Bolivia, dei leader della cosiddetta “marea rosa” in America Latina (così era stato definito il blocco di democrazie sudamericane che avevano eletto leader di sinistra) non rimane quasi più nessuno. Dopo le spietate dittature militari degli anni Settanta-Ottanta, è trascorso un ventennio di ripresa economica, di libertà e di speranze.

Evo Morales

 Ma le manifestazioni di piazza mostrano oggi un Continente in fiamme, con conseguenze imprevedibili. Questi presidenti di sinistra eletti democraticamente non sono riusciti a dare stabilità ai rispettivi Paesi, hanno tradito la fiducia degli elettori e si sono trasformati in caudillos populisti. Con qualche bella eccezione come l’uruguaiano José “Pepe” Mujica, primo ex guerrigliero tupamaro a entrare nel Parlamento e per cinque anni al governo. Continuò ad andare al palazzo presidenziale con la sua utilitaria in sandali e camicia, riuscendo a trasformare l’Uruguay nella Svizzera del Continente, con il ceto medio che ha raggiunto il 60 per cento della popolazione, un’economia stabile e un welfare (sanità e scuola) vicino ai livelli europei. Non è un caso che il suo erede Daniel Martìnez sia in vantaggio di dieci punti sul candidato di centrodestra Luis Lacalle Pou nel ballottaggio per la presidenza che si svolgerà il prossimo 24 novembre. Il voto, in un Paese che conta appena 3,4 milioni di abitanti, arriva mentre l’intera regione sudamericana è agitata da violente crisi politiche. Parafrasando il grande scrittore uruguaiano Eduardo Galeano oggi si sono riaperte le vene dell’America Latina.    

La situazione ribolle ovunque. Il presidente dimissionario della Bolivia Evo Morales si è rifugiato in Messico mentre la carica è stata presa ad interim dalla sua più tenace oppositrice, la vicepresidente del Senato Jeanine Añez. La fuga del primo presidente indigeno non placa le tensioni e in molte aree del Paese si continua ad assistere all’aggressività della polizia contro leader locali. Morales, dopo 14 anni di potere, forzando la Costituzione era stato appena rieletto al quarto mandato, ma l’opposizione e gli osservatori stranieri lo hanno accusato di clamorosi brogli elettorali. Lui non molla e dal Messico grida al golpe. Molti militari, coccolati da Evo, sono ancora dalla sua parte, ma non i generali che lo hanno spinto all’esilio. La Bolivia è divisa e nel caos.

Nicolas Maduro

Da La Paz al Venezuela il salto è breve: qui il popolo è letteralmente alla fame. Il presidente Nicolas Maduro, appoggiato dai militari e dai russi dopo il disimpegno di Trump, tiene duro alla sfida dell’opposizione guidata da Guaidò, mentre oltre quattro milioni di venezuelani sono espatriati e trenta milioni vivono in stato di indigenza. A Bruxelles si è di recente svolta una conferenza dell’Ue e dell’ Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) per organizzare gli aiuti alla popolazione con un piano umanitario su vasta scala. Dopo la caduta di Evo, l’unico presidente che si è sempre battuto in suo favore, Maduro è sempre più solo.

Anche la Colombia è ora governata dalla destra di Iván Duque. Mentre resta alta la tensione nel Brasile di Jair Bolsonero, sempre più contestato per le sue politiche contro le minoranze dell’Amazzonia e una economia in caduta libera nel ricordo di un boom svanito in meno di un decennio.

In Argentina è stato appena rieletto un presidente peronista, Alberto Fernàndez, che ha il difficile compito di far ripartire un Paese in grave crisi economica dopo cinque anni del governo di ultradestra di Magrì. Le elezioni sono state precedute da imponenti manifestazioni di piazza, con la gente che reclamava lavoro, meno tasse, aumenti salariali, servizi pubblici, sanità, in uno stato più povero con inflazione alle stelle e il peso svalutato.

Nel confinante Cile i cortei si succedono quasi ogni giorno da metà ottobre. Video postati sui social mostrano militari che sparano ad altezza d’uomo o bastonano giovani dimostranti. Il presidente Sebastian Piñera, fotografato in una pizzeria con la famiglia mentre nelle strade dilagava la repressione, ha chiesto scusa per le brutalità dell’esercito e della polizia promettendo immediate riforme. A Santiago la protesta era scoppiata per il caro biglietto della metro, ma le rivendicazioni sono le medesime dei vicini argentini. In questi giorni i cileni sono tornati nelle strade come non si vedeva dai tempi della caduta di Pinochet.

Le richieste della gente sono più o meno simili in ognuno di questi Paesi, dove le critiche contro le politiche economiche e sociali si sommano alle accuse per la corruzione a tutti i livelli del potere, il saccheggio delle casse pubbliche, il nepotismo dei vari governanti. Le manifestazioni nascono spontanee sui social media, nei cortei si mischiano slogan e bandiere di ogni colore. Non ci sono ideologie o movimenti dominanti, non si vedono nuovi leader carismatici. La protesta è la conseguenza della rabbia, della miseria e della disperazione. Per questo ogni sviluppo è sempre più imprevedibile.

 

Fonti:

L’Unione Sarda, 16.11.2019

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