Mariupol la città martire, Kiev la capitale imprendibile, Odessa la base strategica per dominare l’intero Mar Nero e Leopoli la porta verso la salvezza all’Ovest dove transitano gli aiuti umanitari e un fiume inarrestabile di profughi in fuga dalle bombe che hanno distrutto le loro case lasciando morte e deserto tutto intorno. Nel racconto della guerra in Ucraina, mentre ancora non si vede la fine delle ostilità, già sono nati i simboli di quella mitopoietica che verrà tramandata nella storia dell’invasione russa scatenata dal nuovo zar Putin. Tra le cronache di questi tragici giorni, Leopoli riporta alla memoria una vicenda che niente ha a che fare con l’attualità del conflitto, ma che vale la pena ricordare perché evidenzia il ruolo di questa grande e bella città nel contesto europeo e in qualche modo vede coinvolti noi italiani. Leopoli nella sua secolare storia, proprio per la sua posizione geografica nella pianura della Galizia, è sempre stata al centro di ogni guerra, crocevia di traffici, scambi culturali e linguistici. Città multietnica e multireligiosa ha sempre ospitato chiese, moschee, sinagoghe, università, teatri, accogliendo un mix di popoli di ogni provenienza che si univano e convivevano pacificamente.
In questo contesto si inquadra l’incredibile mistero dell’armata italiana scomparsa nella seconda guerra mondiale. Alla fine del gennaio 1987 da Mosca arrivò la notizia dell’eccidio di duemila soldati italiani avvenuto nell’estate del 1943 a Leopoli ad opera dei nazisti. Non era la prima volta che si parlava di quella presunta strage mai documentata. In passato, durante il processo di Norimberga e in più occasioni negli anni Sessanta, erano affiorate diverse testimonianze di un contingente italiano massacrato in circostanze misteriose nella foresta vicino alla città. Invece nel 1987 il rilancio della notizia da parte della Tass (l’agenzia ufficiale) ebbe un profondo impatto emotivo sull’opinione pubblica. Spuntarono nuovi ricordi di reduci e di abitanti della città. Così nacque il caso Leopoli che divise l’Italia tra chi confermava le voci della strage e chi invece sosteneva fosse una notizia falsa (oggi si direbbe fake news) inventata dal moribondo regime comunista messo in crisi dalla perestrojka avviata da Gorbaciov. Il fatto di accusare i nazisti si riteneva fosse un attacco al governo tedesco di Kohl che stava appoggiando le aperture che poi avrebbero portato al crollo dell’Urss.
Così per un mese ne parlarono i giornali e le televisioni. Anche il nostro giornale cominciò a seguire la vicenda. L’allora direttore Fabio Maria Crivelli, in quel difficile periodo richiamato dalla pensione alla guida dell’Unione Sarda che aveva già diretto per 23 anni, fu particolarmente colpito perché era stato prigioniero nei lager nazisti della Polonia durante l’ultima guerra. Voleva vederci chiaro e mi incaricò di andare a fondo con una serie di articoli.
Venne fuori una storia controversa: da una parte gli storici della commissione parlamentare dell’inchiesta ordinata dal ministro della Difesa Giovanni Spadolini, dall’altra le testimonianze dei sopravvissuti di Leopoli. Si partiva dalla notizia della Tass la quale sosteneva che nell’estate del 1943 i nazisti avessero trucidato nella foresta attorno alla città duemila soldati italiani. Nel 1988 la commissione ufficiale concluse che “nessun eccidio di militari era stato commesso”, sottolineando che “tra l’estate 1943 e i primi mesi del 1944 a Leopoli non vi era più alcun soldato italiano” e che se eccidio c’era stato esso non aveva riguardato i soldati dell’Armir.
Ma alcuni autorevoli storici e scrittori, come Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern e Lucio Ceva, che pure avevano fatto parte della Commissione parlamentare, portarono avanti per conto loro una specie di contro-indagine e giunsero alla conclusione che non si poteva escludere che la strage di Leopoli non si fosse verificata. Tesi avvalorata dalle affermazioni del Procuratore militare di Roma Giuseppe Scandurra il quale nel 1991, al ritorno da un sopralluogo a Leopoli, affermò: “Gli italiani non furono che una frazione delle migliaia di persone qui fucilate ed uccise”. Cioé non fu sterminata un’intera armata (che non esisteva), ma numerosi italiani in fuga dal fronte o dai campi di prigionia si ritrovarono a Leopoli dove furono uccisi. Il loro ricordo amplificato e mitizzato nella memoria degli abitanti si trasformò nella leggenda dell’armata fantasma. Di certo è che anche quella volta la città fu occupata e distrutta, massacrati i suoi abitanti e sterminata la comunità di centomila ebrei