La giornata della Memoria si commemora ogni 27 gennaio per ricordare l’Olocausto degli ebrei. L’anniversario segna l’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa che liberarono il campo di sterminio di Auschwitz dove fu eliminato oltre un milione di uomini, donne, bambini. Non solo ebrei. Nel lager finirono oppositori politici, rom, disabili, omosessuali, prigionieri russi e tutti i “nemici” del Terzo Reich. È accaduto tra il 1940 e il gennaio del 1945 nella campagna polacca vicino all’attuale città di Oswiecim, dove ha funzionato senza sosta la più orribile macchina della morte ideata dall’uomo. In quei cinque anni Auschwitz fu l’inferno sulla Terra, simbolo delle centinaia di lager disseminati dai nazisti nelle zone di occupazione, in gran parte tra Germania e Polonia.
Di Auschwitz oggi si sa quasi tutto, le teorie degli pseudo storici negazionisti sono miseri esercizi accademici con fini politici. Preoccupa, ma non stupisce, solo il fatto che ogni tanto spunti qualcuno a voler provare che i forni crematori servissero per fare il pane.
La realtà di Auschwitz-Birkenau si apre davanti ai visitatori con i chilometri di filo spinato, le torrette di guardia, i resti delle camere a gas e dei crematori, le baracche dei prigionieri, le foto segnaletiche dei deportati, i registri con i numeri, le enormi quantità di occhiali, capelli, valigie, scarpe raccolti nel lager-museo. Ogni giorno arrivano a centinaia da ogni parte del mondo. Molti gli studenti italiani che le scuole accompagnano in un viaggio culturale e pedagogico di grande importanza per queste nuove generazioni. Un viaggio coraggioso, preparato con cura dagli insegnanti spesso con l’aiuto di ex internati, per affrontare un’emozione fortissima.
Oggi è impossibile dire «io non sapevo» o «non so niente» di Auschwitz, come accadeva all’indomani della guerra. Basta entrare in una libreria per trovare scaffali interamente dedicati all’Olocausto. Auschwitz è diventato un genere letterario che partendo dagli studi storici e documentali arriva alla memorialistica di Primo Levi, Boris Pahor, Elie Wiesel, tanto per citare tre immensi scrittori diventati tali dopo l’esperienza dei lager. Come loro altri sopravvissuti hanno dedicato la vita a testimoniare il sacrificio dei propri cari e del popolo ebraico, quali Shlomo Venezia, che fu uno dei pochi superstiti dei cosiddetti “sonderkommando” (i prigionieri costretti ad estrarre i corpi dalle camere a gas e destinati alla stessa sorte) o le sorelle Andra e Tatiana Bucci con il libro uscito lo scorso anno “Noi, bambine di Auschwitz”. E poi, scorrendo i titoli, troviamo il violinista, il sarto, l’orchestra, il medico, ed altre vittime della deportazione che hanno lasciato la testimonianza scritta della tragedia. Dentro ogni pagina la sofferenza e l’orrore, affinché restasse impresso il ricordo delle vittime e dei carnefici. Un genere unico perché dire l’indicibile è uno sforzo sovrumano che molti sopravvissuti sono riusciti a fare, anche dopo anni rinchiusi nel silenzio del dolore, per dare scopo alla loro vita.
La ricorrenza del 27 serve a questo. Fare i conti col passato è fondamentale per ciascun popolo per guardare al futuro, diga insormontabile contro ogni razzismo e l’antisemitismo. In Italia, dove questi pericoli sono sempre in agguato, come in Germania che pure deve stare attenta per i rigurgiti neonazisti del partito Pnd o dell’ultradestra euroscettica di Afd (Alternative fuer Deutschland) che sta conquistando voti e seggi. Ad affermarlo con fermezza è stata la cancelleria Angela Merkel lo scorso 6 dicembre, per la prima volta in visita ad Auschwitz a conclusione del suo quarto mandato. Prima di lei solo due cancellieri, Helmut Schmidt nel lontano 1977 ed Helmut Kohl, nel 1989, all’indomani della caduta del Muro di Berlino.
Le parole della Merkel, dopo aver oltrepassato il cancello con la famigerata scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), sono una presa di coscienza definitiva sul nazismo: «È accaduto, dunque può accadere di nuovo», ha detto citando Primo Levi e ripetendo più volte «questa storia va raccontata, mai dimenticare. Soprattutto per la Germania, non è possibile lasciarsi la Shoah alle spalle. La responsabilità tedesca per crimini che la mente umana neppure può afferrare è parte della nostra identità nazionale e non può avere fine. Tirare una linea con questo passato, per i tedeschi, è impossibile».
Le parole della Merkel hanno un grande valore storico, ma anche politico davanti alle minacce per il mondo di oggi: «In questi giorni è necessario dirlo in modo chiaro. Perché viviamo un preoccupante razzismo, una crescente intolleranza, un’ondata di delitti d’odio. Viviamo un attacco ai valori fondamentali della democrazia liberale e un pericoloso revisionismo storico al servizio di una disprezzo diretto verso alcuni gruppi umani».
Per questo è importante la Giornata della Memoria, occasione per riflettere in Germania come in Italia, di un mondo sempre più conflittuale, diviso tra nazionalismi, guerre e terrorismo.
La foto sopra: «Razzismo e antisemitismo sono morbi maligni che demoliscono paesi e popoli, nessuna democrazia e società ne è immune». A dirlo è stato il presidente israeliano Reuven Rivlin, aprendo il 23 gennaio a Gerusalemme il Forum mondiale sull’Olocausto, un evento con oltre 41 capi di Stato in occasione del 75esimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Per l’Italia presente Sergio Mattarella che ha reso omaggio alle vittime dell’Olacausto nel museo della Yad Vashem.