Le prime vittime di una guerra sono sempre i bambini. Indifesi, affamati, feriti e uccisi. Usati come ostaggi, scudi umani, merce di scambio, abusati e persino cavie per folli esperimenti pseudo-scientifici. Il famigerato dottor Mengele fece scuola tra i medici dei lager nazisti. In questa elenco di orrori di cui la storia è piena da che mondo è mondo, non potevano mancare i bambini soldato, addestrati in diverse zone dell’Africa e in Messico a imbracciare i mitra come in un videogioco sotto minacce e l’effetto di droghe. Mentre le città devastate dalle bombe si possono ricostruire e i Paesi rinascono lentamente dalle distruzioni di una guerra, per i piccoli innocenti travolti da un destino che non possono capire e che non sanno neppure cosa stia accadendo attorno a loro, sopravvivere è già un miracolo. Ma nessuno può prevedere cosa resterà nelle menti di questi piccoli cresciuti nei rifugi, scampati ai massacri e a mesi di stenti nei luoghi di battaglia. Che uomini e donne saranno da adulti nel ricordo di cose indicibili vissute in quei luoghi di morte e dolore?
Secondo gli insegnamenti dei massimi pedagoghi, quali gli svizzeri Johann Pestalozzi e Jean Piaget che hanno ragionato e sperimentato come far crescere, con amore, i futuri uomini il mondo si può migliorare soltanto partendo dall’educazione dei bambini. Insegnando loro i valori di eguaglianza, fratellanza, libertà e solidarietà è possibile realizzare dei cambiamenti profondi e tentare di mettere al sicuro il futuro dell’umanità. Se questo però non lo si fa nei primi anni, fino all’adolescenza, dopo è troppo tardi e tutto diventa più difficile. È questo il destino che attende i bambini ucraini strappati al loro Paese? Perciò non deve stupire ed anzi è un fortissimo segno di giustizia per il rispetto dei diritti umani, la decisione della Corte penale internazionale dell’Aia che ha emesso il mandato di arresto per Putin. Il presidente russo è accusato di crimini di guerra per la deportazione forzata in Russia di bambini ucraini dalle aree conquistate durante l’invasione.
I particolari della vicenda sono stati raccontati da tutti i media mondiali che hanno pubblicato le risibili repliche dello stesso Putin e dei suoi portavoce. Nel nostro giornale il prof. Leonardo Filippi ha spiegato con chiarezza i termini giuridici e procedurali dell’incriminazione dello zar. Ma resta aperto l’angoscioso interrogativo sulla sorte di questi bambini e adolescenti quando, in qualche modo, la guerra finirà.
Secondo i funzionari ucraini, sono circa 14 mila i piccoli ucraini deportati in Russia. I russi la chiamano “evacuazione” e affermano che il trasferimento li salva dai pericoli quotidiani della vita in una zona di guerra. Alcuni non sono mai tornati dai campi estivi a cui avevano partecipato, altri non hanno mai fatto ritorno dopo le “cure essenziali” a cui si erano sottoposti oltre il confine. E poi ci sono i bambini di cui non esiste più traccia. Sarà impossibile ritrovarli e restituire loro la vera identità.
Putin non ha inventato nulla, ma sta attuando su scala di massa un piano di “russificazione” forzata. Tra i dittatori la storia conta diversi precedenti. Ricordiamo il ratto dei neonati durante la dittatura argentina del generale Videla (1976-82) quando le prigioniere incinte venivano tenute in vita nei centri clandestini di detenzione sino al parto, poi i piccoli venivano dati a famiglie di militari fedeli mentre le madri accusate di essere delle “rivoluzionare” scomparivano nel nulla. Conosciamo almeno 500 casi di neonati rapiti.
L’obiettivo ideologico, per quanto abominevole e disumano, è il medesimo: allevare nuove generazioni nella cultura della classe al potere. Nella sostanza non c’è distinzione tra comunisti o nazisti, tra fondamentalisti islamici e golpisti latinoamericani, che crescono i bambini come soldati pronti a morire per il leader di turno.
Ma la storia, dobbiamo dire, mostra anche l’altra faccia dell’essere umano capace di grandi sacrifici e gesti di amore assoluto per salvare i bambini dalle atrocità delle guerre. Tra gli esempi più famosi il medico ebreo polacco Janusz Korczak che nel ghetto di Varsavia, destinato alla totale distruzione nell’aprile del 1943, per quasi un anno riuscì a far sopravvivere 600 bambini in un rifugio dove ogni giorno insegnava a coltivare l’amore per gli esseri umani, per la giustizia, la verità e il lavoro. Fino all’ultimo i piccoli ebrei non smisero di fare come avessero un futuro, come se il Male non ci fosse e non li riguardasse. Rimanere umani è la grande lezione che Korczak seppe trasmettere di fronte all’annientamento. Oggi possiamo sperare che ci sia anche un solo dottor Korczak tra quei bambini che spariscono oltre il Donbas.