Il futuro dell’Europa passa attraverso il Bosforo. Una storia millenaria che si ripete con rinnovata apprensione perché dal destino di Erdogan e dalle scelte politiche della Turchia dipenderanno molto le prossime decisioni dell’Ue e della Nato. Si avvicinano le elezioni presidenziali e del Parlamento (il 14 maggio) che per la prima volta vedono un’opposizione compatta di sei partiti contro la ricandidatura del “sultano”. I sondaggi sono incerti e alcuni lo danno sconfitto, ma Erdogan non è certo disposto ad abdicare dopo vent’anni in cui ha portato il Paese a giocare un ruolo importante tra occidente e oriente, ponendosi come ago della bilancia nelle contrapposizioni delle grandi potenze. Finito il boom economico oggi la Turchia vive un momento molto difficile ed è per questo che la leadership di Erdogan comincia a traballare. All’interno incidono la dura repressione contro i curdi, le carceri stracolme di oppositori, il pugno di ferro per fermare le proteste popolari, la libera stampa, gli intellettuali e le donne. Insofferenti persino i generali che con l’esercito sinora hanno garantito la laicità del Paese dalle ambizioni dei religiosi che dominano gran parte del Medio Oriente. La Turchia come baluardo davanti al fondamentalismo musulmano con Erdogan capace di gestire la politica estera con estrema spregiudicatezza avvicinandosi alla Russia e alla Cina, intervenendo in Libia e Siria e trattando con l’Ue l’accoglienza di quattro milioni di profughi siriani e mezzo milione di afghani.
Ma ora, anche alla luce degli sviluppi della guerra in Ucraina, la situazione è davvero preoccupante per l’Europa. La Turchia non è stata ancora accolta nell’Unione dove sarebbe il Paese più grande e popoloso con i suoi 85 milioni di abitanti. Inoltre conta le forze armate più numerose e potenti, secondo solo agli Stati Uniti nell’alleanza atlantica di cui invece fa parte.
La presenza della Turchia nell’Ue, dunque, sarebbe fondamentale visto il suo peso demografico, politico, militare ed economico. Ma ai problemi comunitari politici e “tecnici”, si aggiungono i veti di numerosi Paesi che bloccano l’ingresso con una motivazione storica legata al riconoscimento del massacro degli armeni, il primo genocidio del secolo scorso.
Il 24 aprile è la ricorrenza in cui gli armeni in tutto il mondo ricordano quella tragedia avvenuta nel 1915, un anno dopo lo scoppio della Grande guerra. Quel giorno vennero arrestati tutti i notabili, gli intellettuali e i maggiori esponenti della comunità armena, accusati di essere ostili allo Stato e inclini al tradimento. Nel frattempo, interi battaglioni di armeni arruolati nell’esercito dal novembre 1914, vennero disarmati, radunati e massacrati. In tutto il Paese la popolazione fu deportata in convogli scortati da militari e, anche se non uccisa in massa, venne sterminata lungo il percorso dalle malattie e dagli stenti. Le stime delle vittime sono ancora oggi discusse, si parla un milione e mezzo tra uccisi e dispersi. Chi potè, riuscì a fuggire in esilio nella diaspora che ha sparso quel popolo ovunque, migliaia anche in Italia.
Come il nonno dell’attrice Laura Ephrikian che in questi giorni ha presentato il suo libro autobiografico all’Unesco e poi nella sede del Cnr a Cagliari, ricordando le sue origini armene (da cui il cognome). Celebre e popolare negli anni 60/70, anche per essere stata la prima moglie di Gianni Morandi, ha evidenziato come il massacro del suo popolo è stato a lungo taciuto o dimenticato.
Il genocidio del 1915 può essere considerato il primo del secolo scorso che aprì le porte all’olocausto degli ebrei. Tutt’oggi Istanbul nega il genocidio sostenendo che non esistesse, da parte dello Stato turco, un progetto di sterminio nei confronti della popolazione armena. Vi era piuttosto l’intento da parte degli Ottomani di impedire agli armeni di unirsi all’esercito russo che avanzava verso l’Anatolia. Il governo turco ha sempre affermato che non esistono documenti che dimostrino la pianificazione e che tale strage fu dovuta a una guerra civile accompagnata dalle carestie e dalle malattie. Chi afferma il contrario rischia il carcere.
Ma contro le tesi negazioniste si schiera buona parte della comunità internazionale a partire dagli Stati Uniti con il riconoscimento del genocidio. In Francia dal 2001 è reato, l’Ue nel 2015 e l’Italia nel 2019 hanno approvato mozioni di condanna che costituiscono uno stop insormontabile per l’accettazione della Turchia nell’assemblea comunitaria. Sulla negazione invece Erdogan è stato sempre categorico, minacciando gravi ritorsioni e facendone un punto forte della sua politica nazionalista.