I due quotidiani storici della Sardegna figurano nell’elenco dei più antichi italiani, un primato di longevità importante che resiste tutt’oggi nonostante i cambiamenti epocali nel mondo dell’informazione e le crisi economiche.
L’Unione Sarda cominciò le sue pubblicazioni nell’ottobre del 1889, scalzando nel giro di un paio di anni L’Avvenire di Sardegna che già teneva la piazza cittadina dal 1871. Nel 1891 uscirà a Sassari La Nuova Sardegna che, da allora, si confronterà con L’Unione nel compito di informare i sardi spartendosi i lettori secondo una tradizionale divisione geografica, culturale e politica.
Questi giornali locali in comune con gli altri quotidiani storici hanno, oltre la longevità, il fatto di essere radicati nel territorio diventando nel tempo simbolo e istituzione di ciascuna città. Per questo esistono ancora nonostante la concorrenza dei grandi gruppi editoriali che dalla metà degli anni Novanta con le edizioni regionali hanno colpito duramente le testate storiche. C’è un altro fattore comune che li lega e che risale alle loro origini. Questi giornali furono fondati nella seconda metà dell’Ottocento per due motivi essenziali: uno politico e l’altro economico, perché rispecchiavano le posizioni delle classi dominanti dell’epoca che volevano avere una voce forte e far conoscere le loro idee. Finanzianti all’inizio da gruppi politici e finanziari e poi da singoli imprenditori che così diversificano i loro investimenti industriali, cominciarono ad essere remunerativi anche economicamente a partire dalla fine dell’Ottocento e ben presto si svilupparono grazie alle tecnologie della stampa e all’incremento della pubblicità. Ma partiamo dalle origini per riassumere brevemente con questa scheda la storia dei quotidiani.
Gli Acta diurna romani: le origini del notiziario quotidiano
Forse il primo “quotidiano” della storia fu il foglio degli acta diurna che veniva affisso in tutta Roma nel 59 avanti Cristo. In varie epoche successive c’erano “gazzette”, diffuse in vari modi, anche se raramente a disposizione del “grande pubblico” (anche perché erano poche le persone che sapevano leggere). Pare che la prima forma di giornalismo fosse la diffusione di notiziari manoscritti, nell’Europa rinascimentale, fra i mercanti che si scambiavano notizie sulla situazione economica, politica e militare, su usanze, costumi e tendenze, con contenuti anche umanistici e culturali.
I bollettini del ‘400
I primi precursori dei giornali furono bollettini stampati, spesso sensazionalistici, diffusi in Germania nella seconda metà del Quattrocento. Seguirono varie forme di comunicazione stampata, ma uscivano irregolarmente, quando c’era qualche notizia da diffondere, senza una precisa periodicità.
A Londra nel 1702 il primo quotidiano The Daily Courant
Il primo quotidiano, The Daily Courant, uscì a Londra nel 1702. In Francia il Journal de Paris nel 1777. Negli Stati Uniti il Pennsylvania Packet nel 1784. I primi quotidiani italiani uscirono molto più tardi – dopo il 1840. Per esempio Il Corriere Mercantile di Genova, nato come bisettimanale nel 1824, divenne quotidiano nel 1844. La Gazzetta del Popolo, nata a Torino nel 1848, continuò a uscire fino al 1983. L’Osservatore Romano uscì nel 1849, divenne quotidiano nel 1851 e nel 1870 assunse il ruolo di organo ufficiale del Vaticano.
Tra Mantova e Parma la contesa sul più antico d’Italia
La Gazzetta di Mantova e la Gazzetta di Parma si contendono il titolo di “più antico giornale d’Italia”. La prima rintraccia le sue origini fino a un “aviso” che usciva alla corte di Mantova a partire dal 1664. La Gazzetta di Parma, invece, uscì per la prima volta nel Settecento, ma dal 1758 ha avuto più continuità (divenne quotidiana nel 1850).
Il telegrafo, il telefono e la fotografia rivoluzionano l’informazione
Anche se in alcuni paesi c’erano quotidiani nel diciottesimo secolo, una larga diffusione si sviluppò nel diciannovesimo, in particolare dopo l’invenzione del telegrafo nel 1844. Un altro impulso alla quotidianità delle notizie venne dalla nascita del telefono nel 1877. C’erano giornali illustrati anche negli anni precedenti, ma le prime fotografie furono pubblicate nel 1880. La diffusione dei servizi fotografici ebbe un forte aumento dopo la nascita della “telefoto” nel 1927 (la telescrivente esisteva dal 1922).
Le prime agenzie di stampa
La prima agenzia di informazione per la stampa fu la francese Havas nel 1835, seguita dalla Associated Press negli Stati Uniti (1848), dalla Wolff in Germania (1849) e dalla Reuter in Inghilterra (1851). In Italia la Stefani, a Torino, nel 1853.
I più antichi in Italia: oggi molti sono ancora in edicola
Fra i più antichi quotidiani italiani ci sono La Nazione, nata a Firenze nel 1859, il Giornale di Sicilia (1860), il Corriere Adriatico di Ancona(1860), il Roma di Napoli (1862), l’Arena di Verona (1866), il Corriere della Sera di Milano (1876), il Messaggero di Roma(1878). La Gazzetta Piemontese, nata nel 1867 a Torino, nel 1895 divenne La Stampa. Il Sole, che usciva dal 1865, cent’anni dopo si è fuso con il 24 Ore (che era nato nel 1946).
Ci fu un aumento del numero di quotidiani dal 1880 in poi. Per esempio l’Eco di Bergamo (1880), il Piccolo di Trieste (1881), la Libertà di Piacenza (1883), il Secolo XIX di Genova (1886), il Gazzettino di Venezia (1887), la Prealpina di Varese (1888), L’Unione Sarda (1889), il Mattino di Napoli (1891), La Nuova Sardegna (1891), la Provincia di Como (1892). Il Giornale delle Puglie, nato nel 1887 a Bari, divenne poi la Gazzetta del Mezzogiorno. Il Telegrafo di Livorno, che usciva dal 1887, prese il nome di Tirreno nel 1945 (e poi definitivamente nel 1977). Il Resto del Carlino nacque a Bologna nel 1885 prendendo il nome dalla moneta di cui era il “resto” di due centesimi (nello stesso anno a Firenze un giornale che si vendeva nelle tabaccherie si chiamava Il Resto del Sigaro). La Gazzetta dello Sport, nata come bisettimanale nel 1896, divenne quotidiano nel 1913.
La diffusione della stampa in Italia nel diciannovesimo secolo era limitata dall’esteso analfabetismo. La “tiratura” complessiva dei quotidiani non superava le 500 mila copie. All’inizio del ventesimo secolo, quando alle repressioni del 1898 seguì una fase politica di maggiore libertà, e con lo sviluppo industriale aumentarono le concentrazioni urbane, ci fu una crescita del numero di testate e un notevole aumento della diffusione.
Nel 1913 Giovanni Giolitti dichiarava che in Italia si leggevano, ogni giorno, cinque milioni di copie di giornali. Se per giornali si intendessero solo i quotidiani, il quadro sarebbe catastrofico: cioè se allora erano 20 per 100 abitanti oggi, in percentuale, sarebbero la metà. Il declino è meno preoccupante se nella definizione “giornali”, come allora si usava, comprendiamo anche i periodici. Ma il fatto è che la diffusione della stampa in Italia ha avuto una crescita stentata.
Il crollo delle testate durante il Ventennio fascista
Dopo la prima guerra mondiale si aprì nel resto dell’Europa una nuova fase di sviluppo, ma in Italia la situazione fu bloccata dall’avvento del fascismo, che non solo impose la censura ma limitò anche il numero delle testate (favorendo quel fenomeno di concentrazione che poi è continuato fino ai nostri giorni).
Prima della seconda guerra mondiale c’erano 66 quotidiani in Italia, con una tiratura complessiva di 4.600.000 copie. Il Corriere della Sera, che nel 1920 era arrivato a 750.000 copie, negli anni ’40 ne stampava 500.000 (è ancora al primo posto fra i quotidiani in Italia, con una tiratura di quasi 900.000 copie e una diffusione di oltre 700.000).
La ripresa del dopoguerra
Nel dopoguerra il numero di testate crebbe rapidamente, fino a 136, per poi scendere a 111 nel 1952, a 96 nel 1961 e a 75 nel 1975. La diffusione dei quotidiani cresceva poco – o addirittura diminuiva. La tiratura complessiva nel 1975 era di 6.251.000 copie rispetto a 6.341.000 nel 1965. Nello stesso periodo la diffusione (copie vendute) era scesa da 4.765.000 a 4.415.000.
Da allora la situazione non è molto cambiata. Il numero di testate è di nuovo aumentato (ce ne sono circa 180 – ma molte che erano indipendenti oggi fanno parte di grossi gruppi editoriali). La diffusione, come vedremo più avanti, alla fine degli anni ’80 aveva superato i sei milioni di copie, ma dal 1994 rimane più bassa. In rapporto alla popolazione è inferiore ai livelli d’anteguerra.
L’Italia era ed è fra i paesi più arretrati in Europa per diffusione e lettura della stampa quotidiana. Il problema è noto e ampiamente dibattuto. Ma quella che continua a mancare è una soluzione.
La free press
Un fatto nuovo è la diffusione, in alcune città, di giornali distribuiti gratuitamente (free press) nelle stazioni delle metropolitane e in altri luoghi frequentati dalla gente fin dal primo mattino. Dal primo uscito a Roma nel 1999 si è arrivati alla diffusione in dieci città italiane (con tre testate a Milano e Roma, due a Bologna, Firenze, Napoli e Padova, una a Bari, Torino, Venezia e Verona). Oggi a causa dei costi di distribuzione non coperti da una sufficiente pubblicità (unica fonte di introito) e del disinteresse dei lettori che usano internet per informarsi gratuitamente, sono quasi tutti scomparsi.
Agli inizi del Duemila la free press riempie, in parte, lo spazio lasciato vuoto dal mancato sviluppo in Italia dei quotidiani “popolari” e dall’estinzione dei “pomeridiani”. Il numero di copie stampate è rilevante: secondo le dichiarazioni degli editori nel 2003 sarebbe arrivato a due milioni. Ma il fenomeno è limitato ad alcune aree urbane, raggiunge solo sporadicamente quella parte poco attiva della popolazione che è meno abituata alla lettura e non incide molto sulla situazione complessiva della stampa. È anche aumentato il numero dei periodici “gratuiti”, diffusi in diversi canali, ma con un effetto marginale sulla diffusione totale e sulla lettura.
I grandi gruppi editoriali e le edizioni regionali
Altro fenomeni importanti nel settore dei quotidiani è la concentrazione delle testate locali acquistate dai grandi gruppi editoriali che affidano ad un’agenzia propria la redazione di servizi e intere pagine: come il Gruppo Repubblica-Espresso con la sua agenzia Finegil e che ha la proprietà di una ventina di giornali locali. L’unico ostacolo a questo tipo di operazione è la legge sul monopolio che non consente ad un unico soggetto di superare la soglia di un certo numero di testate. Per questo il gruppo romano nel 2017 ha ceduto La Nuova Sardegna e il Centro di Pescara per poter acquistare La Stampa e il Secolo XIX.
Infine bisogna evidenziare il ruolo dei due grandi quotidiani nazionali, il Corriere della Sera e La Repubblica, che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta hanno aperto redazioni regionali realizzando in loco edizioni locali inserite in mezzo al giornale madre (i cosiddetti “giornali panino” ) e distribuite allo stesso prezzo con la formula pago uno-compro due. L’operazione ha avuto importanti risultati diffusioni per i due quotidiani, ma ha segnato il ridimensionamento e anche la crisi economica delle storiche testate locali che hanno resistito e resistono tra molte difficoltà solo grazie al profondo radicamento nel territorio.
Fonte:
Parte della scheda riassume i contenuti pubblicati su sito Gandalf.it dello studioso di comunicazione Giancarlo Livraghi. Il sito gandalf.it è un’interessante fonte che contribuisce alla conoscenza e alla comprensione della rete e, in generale, dei sistemi di informazione e comunicazione. Prende il nome da un personaggio della saga Il Signore degli Anellidi John Ronald Reuel Tolkien.