Il mistero dell'armata fantasma
Alla fine di gennaio 1987 da Mosca arriva la notizia dell'eccidio di duemila soldati italiani avvenuto nell'estate del 1943 a Leopoli (città ucraina) ad opera dei nazisti. Non era la prima volta che si parlava di quella presunta strage mai documentata. In passato, durante il processo di Norimberga e in più occasioni negli anni Sessanta, erano affiorate testimonianze di un contingente italiano massacrato in circostanze misteriose nella foresta vicino alla città. Invece nel 1987 il rilancio della notizia ebbe un profondo impatto emotivo sull'opinione pubblica; spuntarono testimonianze di reduci e storici e vennero aperte due inchieste. Così nacque il caso Leopoli che divise l'Italia. Il caso è ancora aperto.
Nella storia del presunto eccidio si inserisce la testimonianza di Nina, una ebrea polacca di Leopoli, che scampò all'Olocausto e che oggi vive in Italia.
Questo libro, ricco di molti documenti e di un'ampia rassegna stampa, è composto dal romanzo della vita di una bambina ebrea e dalla storia dell'Armata fantasma.
Il Risveglio
24 ottobre 1996Tra i tanti “buchi neri” che a distanza di cinquant’anni ancora restano nella storia della Seconda guerra mondiale, ed in particolare in quella della campagna di Russia, ve n’è uno che ancora oggi sconcerta ed affascina per quell’aria di mistero quasi impenetrabile che lo circonda. È il caso dell’”Armata fantasma”, cioè di quei duemila soldati italiani che secondo alcune testimonianze, sarebbero stati uccisi dai nazisti a Leopoli nell’arco di tempo che va dall’estate 1943 ai primi mesi del 1944. L’ultimo, in ordine di tempo, ad occuparsi della vicenda è stato un giornalista dell’Unione Sarda, Carlo Figari, che raccogliendo testimonianze dirette e materiale documentaristico ha pubblicato recentemente un libro dal titolo “Leopoli – il mistero dell’armata fantasma”. Il “caso Leopoli” venne alla ribalta delle cronache, per la prima volta, quando un giovane giornalista italiano inviato del settimanale Epoca realizzò un reportage sulla presunta strage di soldati italiani dell’Armir. Il giovane inviato al suo primo scoop giornalistico era Jas Gawronski, oggi europarlamentare, editorialista ed affermato giornalista. Una commissione parlamentare di indagine si occupò del caso tra il 1987 e il 1988 e giunse alla conclusione che nessun eccidio di militari era stato commesso nella città dell’Ucraina occidentale indicata come luogo della strage, anzi la commissione sottolineò che tra l’estate 1943 e i primi mesi del 1944 a Leopoli non vi era più alcun soldato italiano e che se eccidio c’era stato esso non aveva riguardato i soldati dell’Armir. Il “caso Leopoli” sembrava dunque destinato ad essere archiviato insieme a tanti altri rimasti irrisolti, ma alcuni storici e scrittori, come Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern e Lucio Ceva, che pure avevano fatto parte della Commissione parlamentare, portarono avanti per conto loro una specie di contro-indagine e giunsero alla conclusione che, dalle testimonianze raccolte e dalla documentazione disponibile, non si poteva escludere che la strage di Leopoli non si fosse verificata. E la tesi di Revelli, Stern e Ceva fu avvalorata dalle affermazioni del Procuratore militare della Procura di Roma Giuseppe Scandurra che nel 1991, al ritorno da un sopralluogo a Leopoli, affermò: “Adesso abbiamo un’idea chiara delle dimensioni della tragedia di Leopoli. Gli italiani non furono che una frazione delle migliaia di persone qui fucilate ed uccise”, confermando così le notizie già pubblicate dalla Pravda sin dal 1944 che parlavano di un elevato numero di soldati dell’Armir massacrati dai nazisti in quella città e la testimonianza di una donna polacca che al processo di Norimberga aveva testimoniato parlando di un eccidio di italiani a Leopoli, poco dopo la caduta di Mussolini. Alla vicenda venne dedicato anche un libro di uno storico polacco, Jacek Wilczur, pubblicato e tradotto in italiano nel 1964, che passò quasi sotto silenzio. Solo nel 1987, quando l’agenzia di stampa sovietica rilanciò la questione con la rivelazione che un gruppo di studenti ucraini durante una ricerca sugli avvenimenti dell’ultima guerra nella loro città, avevano scoperto che i resti di duemila soldati italiani erano stati rinvenuti nella zona. Secondo la Tass la strage sarebbe avvenuta a causa del fatto che gli italiani si erano rifiutati di trasferirsi all’interno del territorio russo per continuare a combattere una guerra che era ormai perduta. La commissione ministeriale incaricata non ritenne decisive neanche le affermazioni della Tass e dopo qualche tempo il “caso Leopoli” tornò a cadere nell’oblio. In quel contesto di mistero e di reticenze un giornalista del quotidiano “L’Unione Sarda”, Carlo Figari, che casualmente aveva incontrato una donna polacca originaria proprio di Leopoli, raccolse una importante testimonianza diretta sull’eccidio dei duemila italiani. Questa ebrea polacca di nome Nina, che da anni vive tra noi nel ciriacese con la sua famiglia, raccontò a Figari la sua storia di bambina scampata miracolosamente allo sterminio dei suoi familiari, la fuga dalla sua terra natale e dalla persecuzione nazista, la sua emigrazione negli Stati Uniti, il matrimonio con un italiano e soprattutto, scavando nel dolore e nella memoria, narrò al giornalista di essere stata testimone oculare della tragedia di quei soldati italiani che, secondo lei, avevano cominciato ad essere uccisi dai nazisti sin dal luglio del 1943, subito dopo la caduta del regime fascista. Dal racconto vivo ed appassionato di Nina, la bambina ebrea scampata all’Olocausto, è nato un libro, “un romanzo-verità”, come lo definisce l’autore, in cui testimonianze e documentazione raccolta “vanno viste come un documento storico”.
“L’obiettivo è quello di dare al lettore gli strumenti per farsi un’idea complessiva e completa della vicenda tuttora aperta – dice Figari – e ciascuno, alla fine, trarrà la propria conclusione sulla base di personali interpretazioni e convincimenti”. Il libro del giornalista sardo, che verrà presentato venerdì 25 ottobre nel salone consigliare di Palazzo D’Oria, è una lettura avvincente e drammatica, ricca di spunti di riflessioni, di documentazione storica e giornalistica su una vicenda che lascia aperti molti dubbi e perplessità ed è sicuramente un utile strumento di conoscenza e di approfondimento su un tema sempre appassionante ed interessante com’è quello della ricerca della verità storica.