Sarà un caso, ma negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli eventi sulla Sardegna nuragica, in alcune occasioni persino in contemporanea su temi medesimi o molto simili. Da Cagliari a Sassari, passando per centri dell’interno in un fermento di convegni affollati di esperti e seguiti da un pubblico sempre più appassionato e competente. A leggere le cronache persino polemico e rissoso, dimostrazione che mentre cresce l’interesse collettivo i sardi continuano a trovare spunti di divisione e contrasto. Anche per l’antichità. E se i titoli dei convegni erano diversi, alla fine il dibattito ritornava su quei punti nodali divisivi che mettono di fronte gli archeologi “ufficiali” e i cosiddetti cultori della materia. Una sorta di confronto tra professionisti di Università e Soprintendenze e “dilettanti” senza titoli accademici, ma agguerriti per i risultati delle loro ricerche e teorie in certi casi sostenute da nomi di fama internazionale. Insomma, un acceso dibattito che a prescindere dalle polemiche che sconfinano nei numerosi blog e siti web, conferma la vitalità dell’archeologia nell’aspetto culturale e soprattutto per ciò che si porta dietro.
Non è questo il luogo per entrare nei particolari del confronto. Ci interessa invece rilevare, se ancora servisse evidenziarlo, quanto sia importante andare avanti su questa strada per approfondire la nostra storia antica con l’obiettivo – come afferma Pierpaolo Vargiu, presidente dell’associazione “La Sardegna verso l’Unesco” – di valorizzare l’immenso patrimonio che fa della Sardegna «un museo a cielo aperto, rappresentando il principale asset di sviluppo sostenibile che abbiamo e che porterà crescita, occupazione, piani di sviluppo». Il dossier presentato di recente dall’associazione all’esame del Ministero mira a far entrare i monumenti della civiltà nuragica nella lista dei Beni del Patrimonio Mondiale Unesco. Interessa 32 comuni che in realtà sono 377 perché l’impegno per la valorizzazione dei siti nuragici riguarda l’intero territorio regionale. È vero che il riconoscimento Unesco esiste già per la reggia di Barumini, ma i siti poco o nulla valorizzati sono tantissimi.
In questo contesto si inserisce il gran battage su “Monte Prama”, dalla discussa promozione internazionale delle statue dei Giganti alla ripresa degli scavi che hanno già dato nuovi importanti reperti proprio di recente. Il contrasto verte sui fondi destinati alla promozione e quelli per la ricerca, la sistemazione dell’intera area di scavo e il museo di Cabras. Intanto “Monte Prama” continua ad essere al centro del dibattito degli studiosi che cercano di svelare il mistero della scoperta. Non ultimo l’accademico francese Michel Gras, che lavorò con Giovanni Lilliu negli anni 70/80 il quale – ospite di in un incontro cagliaritano a San Saturnino – ha svelato la sua documentata ipotesi sulla rappresentazione dei Giganti. Statue – ritiene – di eroici guerrieri innalzate sul sito di una grande battaglia tra le varie popolazioni indigene gravitanti lungo il fiume Tirso e una forza nemica di cui non si sa ancora la provenienza. Fenici per esempio, di cui Gras è un illustre esperto? Chissà. “Monte Prama” è un capitolo aperto.
Il dibattito si fa ancor più spinoso quando gli incontri vertono sul tema più divisivo che è quello delle origini degli Shardana, i guerrieri navigatori che un filone di esperti vuole far risalire ai sardi nuragici in contrasto con la tesi che li individua come i “popoli del mare” provenienti nell’Isola dall’Oriente. Gli studiosi da lungo tempo discutono e litigano sulla loro identificazione. Un convegno all’ex Manifattura di Cagliari, con interventi di archeologi israeliani, ha messo in evidenza i risultati di scavi in Israele (Haifa), Egitto, Siria, Turchia e Cipro che hanno restituito materiali di indiscussa matrice nuragica dell’epoca Shardana. Intanto il nome sta diventando un brand sempre più diffuso per pubblicità, vini doc, ristoranti, società sportive e quant’altro richiami una Sardegna mitica e vincente. Nel calderone misterioso dell’antichità tutto va bene per il prossimo convegno.