Mentre si comincia faticosamente a riaprire tutto in un clima spesso surreale imposto dalle mille regole delle varie fasi, cerchiamo di immaginare quale sarà il prossimo futuro. Siamo inondati di numeri e grafici. Economisti e sociologi sono impegnati con modelli statistici per ipotizzare non tanto se e quando usciremo dalla crisi. Perché prima o poi si uscirà, come è sempre avvenuto nei cicli storici. Ma la vera sfida è prevedere quali saranno gli stravolgimenti sociali e le dirette conseguenze di un paese che di certo sarà molto diverso da come lo abbiamo conosciuto sino all’inverno scorso. L’ascensore sociale riprenderà a salire – sostengono gli esperti -, ma non è detto nel breve termine. Di sicuro sta scendendo rapidamente e continuerà a scendere sempre più affollato, mentre i piani alti e soprattutto gli intermedi si svuotano. Quando l’economia sarà in grado di ripartire probabilmente troverà il palazzo con gli indirizzi degli inquilini in gran parte cambiati e molti piani disabitati. E allora come sarà l’Italia del dopo Covid-19? Nessuno oggi può dare risposte plausibili. Ma bisogna essere ottimisti: non perché lo affermi il premier Conte, quanto per l’analisi della storia degli ultimi settant’anni.
Mentre si comincia faticosamente a riaprire tutto in un clima spesso surreale imposto dalle mille regole delle varie fasi, cerchiamo di immaginare quale sarà il prossimo futuro. Siamo inondati di numeri e grafici. Economisti e sociologi sono impegnati con modelli statistici per ipotizzare non tanto se e quando usciremo dalla crisi. Perché prima o poi si uscirà, come è sempre avvenuto nei cicli storici. Ma la vera sfida è prevedere quali saranno gli stravolgimenti sociali e le dirette conseguenze di un paese che di certo sarà molto diverso da come lo abbiamo conosciuto sino all’inverno scorso. L’ascensore sociale riprenderà a salire – sostengono gli esperti -, ma non è detto nel breve termine. Di sicuro sta scendendo rapidamente e continuerà a scendere sempre più affollato, mentre i piani alti e soprattutto gli intermedi si svuotano. Quando l’economia sarà in grado di ripartire probabilmente troverà il palazzo con gli indirizzi degli inquilini in gran parte cambiati e molti piani disabitati. E allora come sarà l’Italia del dopo Covid-19? Nessuno oggi può dare risposte plausibili. Ma bisogna essere ottimisti: non perché lo affermi il premier Conte, quanto per l’analisi della storia degli ultimi settant’anni.
Lasciamo da parte le critiche alla politica del governo Conte, le pagine dei giornali e i salotti televisivi abbondano di ogni genere di opinioni. Qui vogliamo pensare ad una sola certezza storica: gli italiani e la nostra capacità di superare i momenti più bui con le qualità che tutti ci riconoscono. Escludendo le furberie levantine, una minoranza di profittatori e malavitosi, il paese è sempre riuscito a cavarsela pur vivendo in periodi di costante crisi. Sino ad essere, ancora nel 2018, la settima potenza industriale del mondo. Come abbia fatto non è un miracolo piovuto dal cielo, ma è la storia a dimostrare le nostre qualità e i risultati ottenuti garantendo i valori della democrazia e le libertà di cui godiamo dall’avvento della repubblica. Anche durante questi mesi di lockdown con i “Dpcm-coronavirus” che ci hanno destabilizzato (e non sono finiti).
Mentre si comincia faticosamente a riaprire tutto in un clima spesso surreale imposto dalle mille regole delle varie fasi, cerchiamo di immaginare quale sarà il prossimo futuro. Siamo inondati di numeri e grafici. Economisti e sociologi sono impegnati con modelli statistici per ipotizzare non tanto se e quando usciremo dalla crisi. Perché prima o poi si uscirà, come è sempre avvenuto nei cicli storici. Ma la vera sfida è prevedere quali saranno gli stravolgimenti sociali e le dirette conseguenze di un paese che di certo sarà molto diverso da come lo abbiamo conosciuto sino all’inverno scorso. L’ascensore sociale riprenderà a salire – sostengono gli esperti -, ma non è detto nel breve termine. Di sicuro sta scendendo rapidamente e continuerà a scendere sempre più affollato, mentre i piani alti e soprattutto gli intermedi si svuotano. Quando l’economia sarà in grado di ripartire probabilmente troverà il palazzo con gli indirizzi degli inquilini in gran parte cambiati e molti piani disabitati. E allora come sarà l’Italia del dopo Covid-19? Nessuno oggi può dare risposte plausibili. Ma bisogna essere ottimisti: non perché lo affermi il premier Conte, quanto per l’analisi della storia degli ultimi settant’anni.
Lasciamo da parte le critiche alla politica del governo Conte, le pagine dei giornali e i salotti televisivi abbondano di ogni genere di opinioni. Qui vogliamo pensare ad una sola certezza storica: gli italiani e la nostra capacità di superare i momenti più bui con le qualità che tutti ci riconoscono. Escludendo le furberie levantine, una minoranza di profittatori e malavitosi, il paese è sempre riuscito a cavarsela pur vivendo in periodi di costante crisi. Sino ad essere, ancora nel 2018, la settima potenza industriale del mondo. Come abbia fatto non è un miracolo piovuto dal cielo, ma è la storia a dimostrare le nostre qualità e i risultati ottenuti garantendo i valori della democrazia e le libertà di cui godiamo dall’avvento della repubblica. Anche durante questi mesi di lockdown con i “Dpcm-coronavirus” che ci hanno destabilizzato (e non sono finiti).
Dal 1945 l’Italia ha attraversato cambiamenti sociali, politici e culturali di enorme portata. Per buona parte del dopoguerra – come sottolinea lo storico inglese John Foot nel suo ultimo libro – il paese ha vissuto costantemente all’ombra di una crisi. In retrospettiva si possono individuare due soli periodi considerati di “boom”, più o meno 1955-65 e metà degli anni ’80. Per il resto si è sempre parlato di crisi economica, accostandola a una crisi politica e ad una crisi strutturale di sistema.
I contadini sono spariti. Con gli anni ’80 e ’90 si è estinta la classe degli operai di fabbrica e un intero sistema di produzione. Queste scomparse hanno lasciato vuoti sociali e politici profondi. Anche i partiti di massa non esistono più. Superata la stagione del terrorismo abbiamo vissuto gli anni del Craxismo rampante, ma il fragile benessere si è infranto con “Tangentopoli”. Conclusa rovinosamente la “prima Repubblica”, dagli anni ’90 abbiamo assistito all’alternarsi di governi di centrodestra e centrosinistra, sempre in lotta, al fenomeno Berlusconi del partito-azienda, a politiche economiche di costante emergenza. Poi è arrivato il crollo finanziario del 2008, con le cure da cavallo imposte da Monti nel 2012 e i sacrifici conseguenti degli anni successivi che hanno portato all’estinzione di intere classi sociali, incidendo su tutti gli strati.
Dal 2011 abbiamo visto la crisi dei nuovi partiti, l’emergere della Lega e dei Cinquestelle, l’avvicendamento di una serie di personaggi non eletti a capo di amministrazioni tecniche o di emergenza, che hanno ideato complicate leggi elettorali per conservare il potere.
L’Italia di oggi è irriconoscibile rispetto al paese uscito dalla guerra. Ma anche dall’Italia degli anni del “boom”, degli anni ’80 e della seconda repubblica. Rimangono intatte però le nostre capacità lavorative e imprenditoriali, la cultura e il talento. Fermo restando il convincimento che anche questa volta il paese uscirà dal tunnel, il vero interrogativo sta nella tenuta della classe politica dalle cui scelte dipenderanno i tempi e i risultati della ripresa. Vedremo presto, entro l’autunno, se gli sforzi “poderosi” varati da Conte saranno realmente efficaci o se saranno necessarie altre maxi manovre. Chi poi, in questo caso, dovrà predisporle è un altro discorso perché oggi Conte si sta giocando tutta la sua credibilità e con lui la maggioranza che sinora lo ha sostenuto con uguali responsabilità.
Dal 1945 l’Italia ha attraversato cambiamenti sociali, politici e culturali di enorme portata. Per buona parte del dopoguerra – come sottolinea lo storico inglese John Foot nel suo ultimo libro – il paese ha vissuto costantemente all’ombra di una crisi. In retrospettiva si possono individuare due soli periodi considerati di “boom”, più o meno 1955-65 e metà degli anni ’80. Per il resto si è sempre parlato di crisi economica, accostandola a una crisi politica e ad una crisi strutturale di sistema.
I contadini sono spariti. Con gli anni ’80 e ’90 si è estinta la classe degli operai di fabbrica e un intero sistema di produzione. Queste scomparse hanno lasciato vuoti sociali e politici profondi. Anche i partiti di massa non esistono più. Superata la stagione del terrorismo abbiamo vissuto gli anni del Craxismo rampante, ma il fragile benessere si è infranto con “Tangentopoli”. Conclusa rovinosamente la “prima Repubblica”, dagli anni ’90 abbiamo assistito all’alternarsi di governi di centrodestra e centrosinistra, sempre in lotta, al fenomeno Berlusconi del partito-azienda, a politiche economiche di costante emergenza. Poi è arrivato il crollo finanziario del 2008, con le cure da cavallo imposte da Monti nel 2012 e i sacrifici conseguenti degli anni successivi che hanno portato all’estinzione di intere classi sociali, incidendo su tutti gli strati.
Dal 2011 abbiamo visto la crisi dei nuovi partiti, l’emergere della Lega e dei Cinquestelle, l’avvicendamento di una serie di personaggi non eletti a capo di amministrazioni tecniche o di emergenza, che hanno ideato complicate leggi elettorali per conservare il potere.
L’Italia di oggi è irriconoscibile rispetto al paese uscito dalla guerra. Ma anche dall’Italia degli anni del “boom”, degli anni ’80 e della seconda repubblica. Rimangono intatte però le nostre capacità lavorative e imprenditoriali, la cultura e il talento. Fermo restando il convincimento che anche questa volta il paese uscirà dal tunnel, il vero interrogativo sta nella tenuta della classe politica dalle cui scelte dipenderanno i tempi e i risultati della ripresa. Vedremo presto, entro l’autunno, se gli sforzi “poderosi” varati da Conte saranno realmente efficaci o se saranno necessarie altre maxi manovre. Chi poi, in questo caso, dovrà predisporle è un altro discorso perché oggi Conte si sta giocando tutta la sua credibilità e con lui la maggioranza che sinora lo ha sostenuto con uguali responsabilità.
Lasciamo da parte le critiche alla politica del governo Conte, le pagine dei giornali e i salotti televisivi abbondano di ogni genere di opinioni. Qui vogliamo pensare ad una sola certezza storica: gli italiani e la nostra capacità di superare i momenti più bui con le qualità che tutti ci riconoscono. Escludendo le furberie levantine, una minoranza di profittatori e malavitosi, il paese è sempre riuscito a cavarsela pur vivendo in periodi di costante crisi. Sino ad essere, ancora nel 2018, la settima potenza industriale del mondo. Come abbia fatto non è un miracolo piovuto dal cielo, ma è la storia a dimostrare le nostre qualità e i risultati ottenuti garantendo i valori della democrazia e le libertà di cui godiamo dall’avvento della repubblica. Anche durante questi mesi di lockdown con i “Dpcm-coronavirus” che ci hanno destabilizzato (e non sono finiti).
Dal 1945 l’Italia ha attraversato cambiamenti sociali, politici e culturali di enorme portata. Per buona parte del dopoguerra – come sottolinea lo storico inglese John Foot nel suo ultimo libro – il paese ha vissuto costantemente all’ombra di una crisi. In retrospettiva si possono individuare due soli periodi considerati di “boom”, più o meno 1955-65 e metà degli anni ’80. Per il resto si è sempre parlato di crisi economica, accostandola a una crisi politica e ad una crisi strutturale di sistema.
I contadini sono spariti. Con gli anni ’80 e ’90 si è estinta la classe degli operai di fabbrica e un intero sistema di produzione. Queste scomparse hanno lasciato vuoti sociali e politici profondi. Anche i partiti di massa non esistono più. Superata la stagione del terrorismo abbiamo vissuto gli anni del Craxismo rampante, ma il fragile benessere si è infranto con “Tangentopoli”. Conclusa rovinosamente la “prima Repubblica”, dagli anni ’90 abbiamo assistito all’alternarsi di governi di centrodestra e centrosinistra, sempre in lotta, al fenomeno Berlusconi del partito-azienda, a politiche economiche di costante emergenza. Poi è arrivato il crollo finanziario del 2008, con le cure da cavallo imposte da Monti nel 2012 e i sacrifici conseguenti degli anni successivi che hanno portato all’estinzione di intere classi sociali, incidendo su tutti gli strati.
Dal 2011 abbiamo visto la crisi dei nuovi partiti, l’emergere della Lega e dei Cinquestelle, l’avvicendamento di una serie di personaggi non eletti a capo di amministrazioni tecniche o di emergenza, che hanno ideato complicate leggi elettorali per conservare il potere.
L’Italia di oggi è irriconoscibile rispetto al paese uscito dalla guerra. Ma anche dall’Italia degli anni del “boom”, degli anni ’80 e della seconda repubblica. Rimangono intatte però le nostre capacità lavorative e imprenditoriali, la cultura e il talento. Fermo restando il convincimento che anche questa volta il paese uscirà dal tunnel, il vero interrogativo sta nella tenuta della classe politica dalle cui scelte dipenderanno i tempi e i risultati della ripresa. Vedremo presto, entro l’autunno, se gli sforzi “poderosi” varati da Conte saranno realmente efficaci o se saranno necessarie altre maxi manovre. Chi poi, in questo caso, dovrà predisporle è un altro discorso perché oggi Conte si sta giocando tutta la sua credibilità e con lui la maggioranza che sinora lo ha sostenuto con uguali responsabilità.