Domenica cade l’anniversario delle Fosse Ardeatine: il 24 marzo di ottant’anni fa i nazisti massacrarono nelle cave alla periferia di Roma 335 persone, per rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella in cui morirono 33 soldati ad opera di un gruppo dei Gap comunisti. Già da una settimana nella capitale si ricordano le vittime e si presentano nuovi studi sull’eccidio, ma la commemorazione ufficiale si svolge oggi presso il Mausoleo ardeatino con il discorso del presidente Mattarella e la solenne citazione dei nomi di tutte le vittime. La ricorrenza arriva in un momento molto complicato per il Paese, in pieno periodo elettorale, con i partiti litigiosi e spaccati, maggioranza e opposizione muro contro muro per ogni occasione di critica e polemica. Il Parlamento in ebollizione, i talk show televisivi trasformati in ring serali. Non si salva nessuno, col presidente Mattarella impegnato nel difficile compito di tenere saldi gli equilibri di un Paese in perenne nevrosi da urna. E questo mentre fuori divampano le guerre in Ucraina, Striscia di Gaza e nel Mar Rosso, ulteriori eventi di forti contrasti. Mattarella rinnoverà di certo gli appelli alla “coesione e a una memoria condivisa”, soprattutto in un periodo come il presente in cui si chiede alla storia di mostrare la via maestra guardando agli avvenimenti del passato. Il problema è che ciascuno interpreta e scrive secondo il proprio punto di vista politico, travisando e strumentalizzando la verità documentale. Purtroppo anche ricorrenze come questa sono tema di vibranti scontri e così da anni si va avanti per ogni celebrazione che dovrebbe essere fondativa e unificante della nostra repubblica, a partire dal 25 aprile festa della Liberazione e della Resistenza.
Per le Fosse Ardeatine ancora brucia la polemica dello scorso anno quando un messaggio della premier Giorgia Meloni suscitò le reazioni della sinistra, delle associazioni partigiani e dei familiari delle vittime dopo aver affermato che i 335 martiri furono uccisi «solo perché italiani». Poi cercò di aggiustare il tiro sottolineando che «gli antifascisti erano italiani e che la sua definizione andava interpretata in modo omnicomprensivo». Le rispose il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo precisando che «certo erano italiani, ma furono scelti in base a una selezione che colpiva gli antifascisti, i resistenti, gli oppositori politici, gli ebrei. È doveroso ricordare – aggiunse – che la lista di una parte di coloro che, come ha affermato Giorgia Meloni, furono “barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste”, venne compilata con la complicità del questore Pietro Caruso, del ministro dell’interno della repubblica di Salò Guido Buffarini Guidi, del criminale torturatore Pietro Koch, tutti fascisti».
Tra le vittime anche nove sardi di cui conosciamo le dettagliate biografie grazie ai libri di Martino Contu, storico di Villacidro, che da oltre vent’anni scava nei documenti sulla strage. Tra i diversi eventi organizzati in Sardegna, il 29 aprile il Comune di Narbolia farà apporre una targa in onore dell’avvocato Giuseppe Medas proprio sul muro della casa natale. Coraggioso antifascista aderente al Partito d’Azione si prodigava a servire la causa della libertà con la diffusione di giornali clandestini e fogli di propaganda, quando fu arrestato e portato a Regina Coeli. E dalla cella finì alle Fosse Ardeatine. Una significativa iniziativa di un piccolo centro che così contribuisce concretamente alla commemorazione di Medas, soprattutto rivolgendosi ai giovani che anche dello stesso paese – come rileva lo studioso seneghese Giovanni Fenu – neppure conoscono.
Ottant’anni è un tempo lungo, ma i fatti di allora ancora bruciano nei cuori e nelle coscienze. Nonostante gli accorati appelli di Mattarella e dei suoi ultimi predecessori (Napolitano, Ciampi) non si riesce a completare una ricostruzione storica che superi le ideologie sulla base dei fatti accertati e non delle convenienze politiche del presente.