Ma a Praga iniziò la fine dell’Urss

Il drammatico agosto del 1968

Nell’agosto del 1968 mi trovavo con un’altra ventina di giovani cagliaritani a Zocca, sull’Appennino emiliano, oggi conosciuto per essere il paese di Vasco Rossi e che allora ospitava un centro federale sportivo. Eravamo arrivati dopo un lungo viaggio in nave e bus, felici e spensierati come tutti i quindicenni in vacanza. Quella mattina del 21 la radio e i telegiornali (c’erano solo due canali) diedero la notizia che i sovietici avevano invaso la Cecoslovacchia. Nella giornata le voci di combattimenti nella capitale e di morti cominciarono a prendere corpo e l’indomani le foto dei carri armati sovietici erano sulle prime pagine di tutti i giornali. In quei caldi giorni di mezzo secolo fa si spense nella tragedia il sogno di libertà della “Primavera di Praga”.

Il tentativo, messo in atto da Alexander Dubcek (nella foto) e compagni, di avviare attraverso una serie di riforme il cosiddetto socialismo dal volto umano. Ma Mosca, che già aveva sedato con le armi nel 1956 le rivolte di Budapest e Varsavia, ancora una volta volle dare una severa lezione ai “Paesi fratelli” del blocco sovietico che si allontanavano dalla linea del Cremlino. 

Per evitare gli errori del passato, quando i carristi dell’Armata Rossa solidarizzarono con la popolazione ungherese, inviarono a Praga le truppe mongole che neppure parlavano il russo. Bastarono pochi giorni per occupare il Paese, arrestare i principali dirigenti del governo riformista guidato da Dubcek (che fu portato a Mosca per firmare la resa) e consegnare il potere nelle mani dei capi comunisti fedeli al regime di Mosca. 

La “normalizzazione” era cominciata con un esempio forte per tutti gli altri Paesi satelliti. Tanto che furono coinvolte nell’invasione truppe di Ungheria, Polonia, Germania dell’Est e Bulgaria, con l’eccezione della Romania dove il dittatore Ceausescu cercava di mantenere un’ambigua e opportunistica distanza dalle direttive del Politburo russo. Ironia della storia: quasi vent’anni dopo, quando scoppiarono le rivolte in tutti i Paesi dell’Est che portarono alla dissoluzione dell’impero sovietico, l’unico vero bagno di sangue avvenne in Romania con la drammatica fine di Ceausescu, processato da un finto tribunale del popolo e fucilato con la moglie Elena.

In quell’agosto del 1968 le armi crepitarono nelle strade di Praga, i giovani manifestarono nelle strade, gli operai si barricarono nelle fabbriche, ma alla fine la repressione ebbe un facile sopravvento. 

Noi giovani studenti sardi in vacanza nell’Appennino, insieme ai nostri accompagnatori del Cus Cagliari, eravamo molto spaventati, come tutti in Italia e nel resto del mondo occidentale che assisteva impotente all’atto aggressivo di Mosca. Avevamo paura che potesse scoppiare una nuova guerra e che restassimo bloccati nella penisola senza poter rientrare in Sardegna. Anche i nostri genitori, come tutti, a leggere i giornali erano sempre più in ansia per i figli lontani. All’epoca non c’erano i telefonini e bisognava fare la fila al telefono pubblico con in mano il sacchetto di gettoni. Piccole ma comprensibili preoccupazioni, se pensiamo al vero terrore che i nostri coetanei cecoslovacchi stavano vivendo in quelle stesse ore davanti ai cannoni dei carri armati.

E ancor di più fa pensare che i quindicenni di oggi neppure sanno, visto che non si studiano a scuola e difficilmente se ne parla a casa con i genitori che pur hanno vissuto quegli eventi, cosa fu la “Primavera di Praga” e soprattutto cosa avvenne nel 1989 con la dissoluzione del blocco sovietico.

Di sicuro, come sostenne il giornalista Jury Pelikan nel suo libro “Il fuoco di Praga”, nell’agosto del 1968 per la prima volta numerosi partiti comunisti (tra cui il Pci) condannarono la decisione di Mosca per l’intervento armato, anche se poi molti accettarono il fatto compiuto. Bisognerà aspettare l’avvento di Gobarciov e della sua “perestroika” per arrivare al disfacimento dell’Urss. Fu la fine di un’ideologia, il comunismo, che iniziò ad entrare in crisi proprio con la rivolta di quell’estate del 1968. 

(nel pdf la pagina con l’articolo)

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Fonti:

L’Unione Sarda, 12.08.2018

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