Buffon, l’ultimo numero uno

L'addio al calcio del grande portiere

Gigi Buffon ha lasciato il calcio giocato per entrare nel giro della nazionale candidato al posto che fu prima del mito Gigi Riva e poi del compianto Gianluca Vialli, capo delegazione degli azzurri. Da capitano in campo a team manager della squadra, trait d’union tra giocatori, staff tecnico e dirigenti. Un ruolo importante perché, come lo furono Riva e Vialli, diventa il personaggio in grado di trasmettere serenità nello spogliatoio, un secondo padre per giovani campioni che hanno bisogno di punti di riferimento autorevoli e comprensivi perché prima di dirigenti sono stati a loro volta campioni. E che campioni.

Buffon ha lasciato nei giorni scorsi il calcio giocato a 45 anni, dopo aver vinto tutto nella sua quasi trentennale carriera, tranne la Champions e il Pallone d’oro, record assoluto con la maglia azzurra (176 presenze) con la quale ha conquistato i mondiali del 2006, scudetti, coppe e titoli a volontà. Anche lui è già entrato di diritto nel mito del calcio non solo italiano, ma internazionale, nel Pantheon delle star leggendarie. Ha voluto annunciare l’uscita di scena sui social con un breve video nel quale ripercorre le tappe della trionfale carriera sino a trasformare la sua immagine iconica in quella di un supereroe, ma chiudendo il filmato con la foto di lui bambino disteso su un campetto parrocchiale dove tutto è cominciato. Metafora di una vita straordinaria.

Eppure all’annuncio dell’addio all’agonismo non sono mancate le critiche sui social (affollati di odiatori e criticoni ad oltranza) e anche sui giornali che hanno evidenziato la sua ostinazione a indossare i guanti sino all’estremo. «I grandi campioni capiscono quando è arrivato il momento di smettere (vedi Gigi Riva)… lui è stato un grande, ma come uomo ha sbagliato, forse per un ego smisurato». I più malevoli non hanno risparmiato allusioni ai lauti ingaggi e contratti pubblicitari. 

Leoni da tastiera a parte, colpisce il commento di Zoff, l’altro mito della nazionale: «I numeri sono numeri e i suoi parlano chiaro: è stato un grande: – ha detto Dino- ho capito fin da subito con chi avremmo avuto a che fare. Era un portiere completo, nonostante la giovane età. Se è stato più forte di me? Beh, è quello che dicono tutti. Io non la penso così. Diciamo che può andarmi bene un podio con lui ed Albertosi». L’Italia è stata la patria dei grandi portieri a partire dagli anni Trenta con le due vittorie mondiali, diventando per decenni una scuola di ottimi numeri uno. Con eccezione del russo Lev Jashin, detto il “ragno nero”, unico portiere ad aver vinto il Pallone d’oro nel 1963, i nostri migliori sono stati sempre protagonisti tra i legni delle porte. Tuttavia negli ultimi tempi questa scuola non ha più sfornato campioni assoluti e i grandi club hanno puntato sugli stranieri. Ma molto è cambiato negli schemi del gioco, nelle qualità tecniche e fisiche che si richiedono per il ruolo del portiere moderno. Intanto l’altezza e l’atleticità: se sei meno di un metro e 95 sei considerato basso! Nel contempo devi essere una molla capace di saltare come Tamberi e di uscire dall’area con la rapidità di Tortu. Quando ero ragazzo, anni sessanta/settanta, nei campetti parrocchiali in porta ci finiva il più scarso. E quando si tirava a sorte per formare le squadre era classica la battuta dei più prepotenti: “primo e primo (nel battere punizioni e rigori), ultimo in porta”. A significare l’importanza minore che si dava al ruolo.

I portieri della serie A erano tutti dal fisico normale con eccezione dello spilungone Fabio Cudicini (Roma e Milan) che superava il metro e novanta e regolarmente veniva infilato con i tiri rasoterra. Noi giovani collezionisti degli album Panini ammiravamo l’atalantino Pizzaballa (rarissima la sua figurina), Sarti, Buffon, Vieri, Superchi e via ricordando per arrivare, alla generazione di Galli, Pagliuca, Zenga, Tacconi, Peruzzi, Toldo. Ma già eravamo entrati in una nuova epoca del calcio spettacolo, con gli eredi di Dino Zoff e precursori di quel posto che dal 1997 sarà sempre di super Gigi. 

Fonti:

L’Unione Sarda, 05.08.2023

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