A fine anno i giornali pubblicano puntualmente le classifiche dei protagonisti che si sono distinti nel mondo in ogni genere di attività. Dalla politica alla cultura, dall’economia alle scienze. I quotidiani e le riviste specializzate fanno a gara per stilare graduatorie basate sui più disparati parametri di valutazione: contano le statistiche, i sondaggi di opinione, i voti di giurie di esperti o di lettori selezionati. Senza parlare dei social che guardano i numeri dei followers, a beneficio di influencers e sponsor. Quest’anno vanno di moda le graduatorie dei virologi più famosi e presenti sui media. È il gioco mediatico dei migliori dell’anno, di chi sale e chi scende, delle new entry a sorpresa e delle conferme inossidabili nel tempo, nell’immagine e nel portafoglio.
Tra le classifiche più varie, curiosamente, sfugge quella sui despoti del mondo, che nel 2021 hanno governato i cittadini col pugno di ferro determinando le sorti di intere aree geografiche. Tutto dipende da questi uomini che sono al potere (in maggioranza da molti anni) grazie alla forza delle armi, a parlamenti eletti con leggi ad personam e a governi strumentali. Dittatori mascherati da presidenti che cambiano la costituzione a piacimento, leader assoluti con potere di vita e di morte sul popolo e con le chiavi dei conti dello Stato nelle personali casseforti, ben nascoste nei paradisi fiscali.
Per immaginare una classifica basta scorrere le pagine del sito di Amnesty International. Vediamo un elenco molto lungo che fotografa un pianeta dove la vera democrazia è limitata a poche aree geografiche. Gran parte del globo è nelle mani di dittatori o presidenti di repubbliche tali solo di nome. Per una graduatoria esistono criteri oggettivi e indiscutibili: il loro potere si basa sulla longevità al comando, sul modello di leggi elettorali farsesche, l’uso sistematico della forza con le armi, la repressione di ogni dissenso, il divieto di manifestare, il silenziamento totale della stampa con i giornalisti in carcere, la chiusura di tv e giornali, il blocco di internet, le prigioni strapiene, gli arresti indiscriminati e di massa, i tribunali consenzienti con giudici incaricati di applicare norme liberticide senza alcun rispetto dei diritti della difesa e degli imputati (basta citare il caso Zaki in Egitto). E dall’altra parte l’arricchimento di una classe di oligarchi e dirigenti determinato dalla vicinanza al gran capo, da familismi e amicizie, con la corruzione che penetra ogni angolo della vita.
Di fronte a questo quadro poco possono fare i consessi internazionali delle Nazioni Unite, i tribunali per i diritti umani, le decisioni dell’Unione europea per frenare le ambizioni di Paesi membri (vedi Ungheria e Polonia) o di pericolosi vicini?
Il 2021 si è chiuso con la sconfitta dell’alleanza occidentale e il ritorno al medioevo in Afghanistan. I nomi di quei talibani “signori della guerra” pochi li conoscono, ma con loro la storia è tornata indietro di vent’anni. In un’ottica planetaria tuttavia non entrano neppure nella classifica dei top ten dei più “cattivi” dove spiccano i veri potenti del pianeta. In cima il cinese dal volto bonario Xi Jinping che, con l’ultimo plenum del Pcc, ha gettato le basi per rafforzare ed estendere a vita il suo dominio sulla Repubblica popolare. Le recenti elezioni “pilotate” ad Hong Kong e la minaccia non tanto velata di occupare presto Taiwan, i disegni di espansione economica illimitata, la soppressione totale del dissenso e la persecuzione della minoranza musulmana degli uiguri, ne fanno un leader temibile e inarrivabile. A confronto il vicino Kim Jong-un, che ha blindato la sua Corea del Nord oggi ancor più impenetrabile a chiunque per il Covid, è un piccolo fantoccio che tiene il mondo sul crinale scivoloso della minaccia nucleare.
Lo zar Putin consolida il suo potere mettendo sotto scacco l’Europa e gli americani con l’ultimatum sull’Ucraina che non «può entrare nella Nato». Un posto di rilievo nel 2021 se lo è guadagnato il dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko riuscito ad arginare le enormi proteste popolari, con durezza e scaltrezza nel gioco delle alleanze internazionali, con l’opposizione in esilio o in prigione. Si rafforza il dominio dell’egiziano al Sisi che, liberando il povero Zaki e altri dissidenti, cerca di allentare la pressione sul suo Paese e continua a fare affari con tutti. In calo le quotazioni del sultano Erdogan che dopo aver tuonato per metà anno, ora ha abbassato i toni a causa della grave crisi economica e dell’inflazione della moneta turca. Che dire del presidente Bashar al Assad che si ritrova il suo regno distrutto e sei milioni di siriani profughi? È rimasto sul trono, ma quale presente e futuro potrà dare ai sudditi rimasti dove l’80 per cento vive in estrema miseria? Nello scacchiere mediorientale spicca il capo di stato e di governo Salman bin Abdulaziz Al Saud che domina l’Arabia saudita con i petrodollari e il terrore.
In questo 2021 emergono paradossi della storia quali il premio Nobel per la pace Abiy Ahmed, il premier dell’Etiopia, che nel 2019 suscitò un’immensa speranza popolare e l’ammirazione internazionale per aver raggiunto un accordo di pace con l’Eritrea, mettendo fine a una guerriglia di confine che durava da decenni. Oggi guida l’esercito etiope al fronte dove si combatte ancora tra la minoranza tigrina e l’etnia dominante degli Oromo. I dossier di Amnesty spaziano in ogni Continente, si ingrossano di numeri nei Paesi dove l’unica industria che non conosce crisi è quella delle armi. Con quali prospettive per il 2022 è facile prevedere.