L’Europa allargata

Anche la Sardegna celebra la “festa dell’Europa” dalla nascita ad oggi con un mese di iniziative tra maggio e giugno che illustrano 37 interventi regionali realizzati grazie ai fondi comunitari. L’isola beneficia del contributo di finanziamenti europei del programma operativo 2014-2020 che destina 930 milioni per una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Soldi destinati per specifiche strategie relative all’agenda digitale, alle aree interne e alle aree urbane, al rafforzamento amministrativo, insomma un consistente aiuto per fra crescere le singole regioni in un quadro comunitario. Non è solo la Sardegna ovviamente a godere di questi fondi, ma tutti i 27 Paesi dell’UE chiamati a guardare avanti per il decennio con l’obiettivo, superata questa gravissima fase della pandemia, di dare un nuovo impulso all’economia continentale. 

Le sfide sono molte e impegnative, a partire proprio dalla riorganizzazione del sistema sanitario di ciascun Paese che, sulle esperienze accumulate in seguito al Covid-19, dovrà programmare per saper gestire le prossime emergenze sanitarie, purtroppo imprevedibili nel tempo. Il problema dello studio dei vaccini, della commercializzazione e dell’utilizzo di massa, è l’esempio più clamoroso di come dovranno lavorare insieme i Paesi comunitari per collaborare e confrontarsi con i colossi mondiali. 

Al centro di tutto l’identità europeista da consolidare e la forza economica che l’UE saprà esprimere nel nuovo panorama europeo dopo l’uscita della Gran Bretagna e il futuro ingresso di altri Paesi. In sostanza già si pensa a cosa sarà l’Europa nel decennio a confronto con i giganti americano, cinese e russo, dietro i quali sgomitano le potenze emergenti di India, Egitto e Turchia.

In questa prospettiva si dovrà trovare un nuovo spirito di coesione e di dialogo sfuggito negli ultimi anni dove sono emersi i sovranismi e gli egoismi di certe nazioni, in particolare di quei Paesi dell’Est aderenti all’accordo di Visegrad che hanno preso derive autoritarie e nazionaliste, colpendo con leggi liberticide la stampa, le opposizioni e i diritti civili.

Non è un caso che la festa dell’Europa cada l’8 maggio, una data significativa perché segna la fine dell’ultima guerra nel Continente, con la caduta del nazismo e la firma della pace in una Berlino distrutta. Oggi proprio la capitale tedesca è il simbolo della rinascita di una grande nazione, diventata la guida trainante della locomotiva comunitaria. 

Per la Gran Bretagna che se n’è andata, altri Paesi bussano alla porta e cercano di salire su questo treno. In lista la Turchia per la quale il discorso è molto complesso e contrastato. Ma soprattutto gli Stati nati negli anni Novanta-Duemila sulle ceneri dell’ex Jugoslavia. La situazione è ancora incerta riguardo alla richiesta e all’accettazione: dei sei paesi dei Balcani occidentali attualmente solo Serbia e Montenegro stanno avendo colloqui di adesione. La Macedonia del Nord e l’Albania sono candidati in attesa dell’inizio dei negoziati. La Bosnia Erzegovina ha presentato la sua domanda, mentre il Kosovo è ancora fuori dal dialogo.   

Per l’UE l’accoglienza nell’alveo occidentale e comunitario dei Paesi balcanici, così tormentati da conflitti etnici e religiosi, è una questione fondamentale per puntellare la pace e sviluppare l’economia. 

Al rientro da un recente viaggio nell’area, il commissario europeo per l’allargamento e il vicinato, Olivér Vàrhely, ha spiegato che «il processo di adesione sta andando avanti con una buona convinzione perché tutti i membri hanno capito che l’UE è sempre l’attore chiave nella regione balcanica nonostante la crescente influenza cinese e russa». In prima fila l’Italia che conta molti interessi con i Paesi dell’altra sponda adriatica. Il commissario ha chiarito che «le aziende europee sono quelle che investono di più ed è l’UE che spende di più in termini di aiuti economici». Tuttavia esistono ancora veti, quali lo stop della Bulgaria sulla Macedonia del Nord per le questioni della lingua e dell’identità, ma secondo l’ungherese Vàrhely entro il prossimo decennio il quadro sarà completato. 

Anche per questo la Sardegna deve operare per non restare indietro e pensare che a breve si troverà a competere con Paesi che pur sempre si affacciano nel Mediterraneo. La festa dell’Europa deve ricordare a tutti che siamo chiamati a queste imminenti sfide.

 

Fonti:

L’Unione Sarda, 03.06.2021

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