Quando il Covid-19 sarà sconfitto da un vaccino, chissà come verrà ricordata questa pandemia che dallo scorso inverno ha cambiato la vita in ogni angolo del pianeta. Già oggi l’Oms teme di chiudere il 2020 con il numero di un milione di vittime, ma gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità non nascondono i timori di uno scenario ancor più catastrofico prevedendo altrettanti morti entro i prossimi nove mesi. In ogni caso anche il Coronavirus è destinato ad essere classificato nella storia come uno dei tanti eventi globali che ciclicamente colpiscono l’umanità causando milioni di morti e miseria. Le pandemie sono come le guerre. Le prime contro nemici invisibili ad occhio nudo capaci di penetrare capillarmente negli uomini e di causare i disastri sociali ed economici che ben conosciamo. Le guerre, invece, si vedono, si combattono, lasciano rovine e distruzioni per decenni.
Ma è soprattutto il numero delle vittime a fare la differenza e di conseguenza ad incidere sulla collocazione storica e sul ricordo delle generazioni future. Le guerre, anche a distanza di un secolo, non si dimenticano. Anzi si continuano a commemorare vittorie e battaglie, si cerca di tenere viva la memoria degli stermini contro intere popolazione perché non si ripetano, si analizzano responsabilità e colpe di chi ha voluto quei conflitti. Tutto è scritto, filmato e documentato.
Pandemie e guerre sono ricordate in modo molto diverso. La memoria della guerra sembra nascere immediatamente già formata, anche se soggetta a infinite narrazioni e interpretazioni. Il ricordo delle pestilenze catastrofiche si crea più lentamente e, per quanto riguarda il passato, più difficile a trovare una corretta classificazione tra gli eventi del suo tempo. Spesso le pandemie, per mancanza di fonti storiche, vengono sottovalutate o dimenticate.
Nel Novecento l’ “influenza spagnola” – come sottolinea la giornalista scientifica inglese Laura Spinney nel suo bel saggio “1918” (Marsilio ed.) – è stata a lungo trascurata, appena citata nei manuali di storia, nonostante da sola abbia fatto più morti delle due guerre mondiali messe insieme: si è comunemente parlato di una ventina di milioni, ma il numero – secondo studi più recenti – arriva a moltiplicarsi per cinque.
Quel morbo era stato devastante più di ogni altro nei secoli e nel mondo, ma fu vissuto come un’influenza stagionale. La gente moriva ovunque; i governi adottavano le misure di isolamento che conosciamo con l’attuale lockdown; la popolazione e i sanitari non sapevano cosa pensare. Per questo fu difficile una contabilizzazione delle vittime e il fatto che si esaurì nel volgere di tre anni contribuì a farla dimenticare.
Le due guerre mondiali, al contrario, sono ancora fresche nel ricordo, vi facciamo un continuo e ossessivo riferimento convinti che non saranno mai dimenticate, nonostante l’esperienza del passato suggerisca che fra un secolo o più svaniranno pian piano oscurate da altri eventi.
Quanto detto si può riassumere con una rapida ricerca su internet, dove WorldCat (il maggiore catalogo bibliografico online) elenca 80 mila volumi sulla Grande Guerra in più di 40 lingue, meno di 400 sull’ “influenza spagnola” in appena cinque lingue. C’è da sottolineare che gli studi su questo morbo sono ripresi in modo esponenziale solo di recente, soprattutto per un confronto con le pandemie che hanno flagellato il mondo negli ultimi decenni.
Oggi, mentre è in corso la gara a trovare il vaccino per il Covid-19, conosciamo i numeri giorno per giorno e Paese per Paese: contagiati, ricoverati, guariti, vittime. Mai in passato una conta è stata tanto capillare e verosimile (dire “precisa” non è corretto) tanto da rappresentarci il fenomeno in tutta la sua immane proporzione. Nessuno, e chi lo ha fatto è stato smentito a sue spese come Boris Johnson e lo stesso Trump, può negare l’evidenza dei numeri e quindi nascondere il virus e gli effetti secondo le proprie convenienze politiche e strategiche.
Per questo più che mai valgono le parole di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, per cui «solo la cooperazione tra tutti i Paesi consentirà di vincere il virus e di fermare la conta dei morti».