Nell’estate del 2011 sulla scena editoriale sarda si presentano quattro quotidiani. Oltre le due storiche testate L’Unione e La Nuova, a Cagliari escono quasi insieme due nuovo giornali: Il Sardegna Quotidiano e Sardegna 24. Due esperienze velleitarie in un periodo di crisi crescente della stampa nazionale che si spiega solo con gli interessi politici in vista di vicini appuntamenti elettorali e di grandi fermenti nel panorama regionale dove si fa serrato il confronto tra centrodestra e centrosinistra e anche tra le varie correnti dello stesso PD. I due nuovi giornali avranno un seguito insignificante nelle vendite in edicola e quindi il loro destino è già segnato sin dall’uscita. Solo l’entusiasmo e la capacità di validi giornalisti, tra cui diversi professionisti disoccupati, garantisce la pubblicazione per un breve periodo.
Non dura più di un sette mesi Sardegna 24. Si presenta in edicola il 1° luglio 2011 con 56 pagine a colori e una tiratura di 20 mila copie, redazione a Cagliari in piazza del Carmine nell’ex sede di Sardegna Democratica. Editori: un gruppo di imprenditori vicini a Renato Soru (l’ex presidente era presente la sera in cui si è brindato per l’uscita del primo numero), tra i quali Carlo Scano, immobiliarista di Sanluri.
Una quindicina di giornalisti tra il capoluogo, l’Ogliastra, Nuoro e Olbia.
Alla direzione viene chiamato Giomaria Bellu, giornalista cagliaritano, ma da molti anni trapiantato a Roma: dopo aver iniziato con l’Unione e poi alla Nuova, fa il grande salto nel gruppo romano passando a Repubblica dove diventerà inviato specializzato in inchieste investigative e in servizi segreti. Suo lo scoop (da cui trarrà anche un libro, uno spettacolo teatrale e un docufilm) sul mistero dell’affondamento di un barcone con 300 migranti davanti a Porto Palo, nel mare di Sicilia. Una notizia sconosciuta e taciuta sino alle clamorose rivelazioni di Bellu che denunciò all’opinione pubblica la sconvolgente tragedia, la prima di una serie che tutt’oggi purtroppo non si è fermata. Da Repubblica Bellu è chiamato alla condirezione dell’Unità, la storica testata fondata da Gramsci, in cui Soru nel maggio 2008 è entrato nel pacchetto societario nell’operazione di salvataggio del giornale, da anni sempre sull’orlo del fallimento.
La scommessa di Renato Soru
L’uscita di un quarto giornale, nonostante le ufficiali coperture e smentite, non può nascondere gli interessi politici dell’ex governatore fondatore di “Progetto Sardegna” e vicino al Partito Democratico. Il patron di “Tiscali” punta e rientrare in pista nel confronto regionale, dove sono vivaci i contrasti all’interno dello stesso Pd, diviso in più correnti. Bellu accetta la proposta e ritorna nella sua città natale, pronto a una nuova sfida giornalistica. In pochi mesi nasce Sardegna 24. Tiratura iniziale ventimila copie. Forse confuso dai lettori per la contemporanea uscita del Sardegna Quotidiano, una scarsa promozione e marketing, stritolato in edicola dai giornali maggiori, non ottiene i risultati sperati. Viene accolto tiepidamente e “punito” subito dal mercato. Le vendite vanno male sin dagli esordi, fino a scendere in brevissimo tempo a meno di mille copie al giorno. A novembre Bellu rileva le quote di maggioranza e diventa l’editore. Ma le cose peggiorano e dopo appena sette mesi, il giornale cessa le pubblicazioni. L’ultimo numero con il congedo dai lettori e la promessa di continuare l’avventura sul web con un giornale on line appare domenica 29 gennaio 2012.
Il direttore Bellu firma l’addio ai lettori
È il direttore Bellu a raccontare l’epilogo alla vigilia dell’ultima uscita: «Ci abbiamo lavorato duramente, tutti insieme, così come è documentato dal video che da subito abbiamo postato sul nostro sito. Era giugno, la redazione era appena nata e lavorava mattina, pomeriggio, sera e sera inoltrata ad un giornale che doveva ancora prendere forma. E poi nascere, mostrare la propria identità e mantenerla. Restare in vita. Ci siamo riusciti per quasi sette mesi. Troppo poco per esultare, abbastanza per riconoscere che Sardegna 24 la propria identità l’ha mostrata, ogni giorno, ai suoi lettori. Un’identità che a molti non è piaciuta, ad altri invece sì e per questo hanno continuato a sceglierci e a preferirci, in un mercato editoriale difficile, impossibile, in cui l’uscita di un nuovo quotidiano poteva apparire, se non una follia, un azzardo. In questo azzardo ci siamo noi, giornalisti di Sardegna 24, i grafici, i fotografi, i tecnici, i collaboratori. Per far nascere questo giornale abbiamo lavorato spesso in condizioni al limite della sopportabilità». È lo stesso Bellu a dare la notizia della messa in liquidazione della società, dopo il tentativo, purtroppo vano, dello stesso direttore di salvare il salvabile rilevando le quote dei soci fondatori che avevano, già da tempo, “abbandonato la nave”.
«Ringrazio i colleghi – dice – che hanno lavorato con me condividendo il progetto professionale e ideale. Una squadra straordinaria che ha resistito a una situazione difficilissima». E annuncia: «Utilizzerò le risorse che arriveranno per l’avvio di una nuova iniziativa editoriale o per il proseguo di questa. Nonostante le enormi difficoltà di questi mesi, determinate dal quasi immediato abbandono da parte dell’editore del progetto al quale avevo aderito, credo che l’esperienza di Sardegna 24 abbia confermato la necessità di una voce libera e autonoma nell’informazione sarda».
Il giornale, come già accennato, era stato fondato per iniziativa di un gruppo di imprenditori sardi riconducibili a Renato Soru. Della società facevano parte la “Sarprint” con il 40 per cento delle quote, Carlo Scano, Mariano Pireddu e Giancarlo Muscas con il 20 ciascuno. Amministratore delegato nella prima fase del giornale era stato nominato Fabrizio Meli, cagliaritano, ex giornalista dell’Unione Sarda poi passato al lavorare a gruppo Tiscali e quindi nominato da Soru Ad dell’Unità e direttore di Tiscali News. Carlo Scano era uscito dalla gerenza nel primo mese di pubblicazioni e nel ruolo di amministratore delegato era stato chiamato Giancarlo Muscas. La società si era poi trasformata in una Srl, con l’ingresso di Bellu quale editore, il 16 novembre. Ma all’orizzonte non ci sono nuovi finanziamenti, mentre le spese e debiti aumentano per pagare carta, stipendi e contributi del giornalisti.
Ogni giornale che apre, in un paese democratico, è sempre una bella novità e una festa. Ogni chiusura è un lutto per tutti: per chi ci lavora e per i lettori, perché in questo settore la libera concorrenza è di stimolo per i competitor e di attenzione per la realtà sociale e politica. Purtroppo molte iniziative nascono con ambiziose velleità, senza autentici e realistici piani industriali, e con i piedi d’argilla. A guidarle è quasi sempre l’entusiasmo e la passione, spesso però nascondono operazioni politiche ed economiche meno chiare. Senza un solido sostegno finanziario e bilanci di previsione pluriennali che ne garantiscano lo start up e l’uscita per almeno un paio d’anni sino a raggiungere il break even necessario alla sopravvivenza, è inevitabile arrivare presto ai conti in rosso. Da qui al fallimento e alla chiusura i passi sono rapidi e scontati.
Esperienze velleitarie e conseguenze per la categoria
Nel loro secolo di vita L’Unione e La Nuova hanno visto diversi aspiranti concorrenti presentarsi anche con bei progetti, ma finire miseramente nei debiti. A pagarne le conseguenze maggiori sono purtroppo i giornalisti, i collaboratori, i poligrafici, i fornitori, tutti quelli che ci hanno creduto e ci hanno messo speranze, lavoro, passione ed energia. I più si ritrovano disoccupati, sulle spalle delle casse previdenziali della categoria, senza prospettive di trovare altri sbocchi in un panorama editoriale sempre più in crisi e ristretto. Le voci alternative sono importanti, ma anche le iniziative più serie devono poi confrontarsi sul mercato, in questo caso quello sardo dove i numeri di vendite e di incassi pubblicitari da alcuni sono in costante calo.
Nel 2011, dunque, vediamo nascere e chiudere rapidamente le due nuove testate quotidiane di Cagliari. Qualche giornalista è riuscito a ricollocarsi nelle principali redazioni regionali o presso uffici stampa pubblici.
Gli altri sono andati ad ingrossare la lista dei disoccupati. Giomaria Bellu ha continuato per alcuni anni la sua sfida sul web con Sardiniapost.it (dal significativo sottotitolo: «le notizie di oggi per la Sardegna di domani»).
L’analisi della Fnsi
Lasciamo le conclusive e significative parole alla Fnsi, il sindacato nazionale: «È triste assistere alla grande difficoltà di nuovi giornali a proseguire la loro attività», afferma in una nota apparsa sui media all’annuncio dell’ultimo numero della testata: «È, infatti, notizia di grande desolazione la chiusura dopo appena sei mesi e mezzo di Sardegna 24, quotidiano promosso da un gruppo di imprenditori locali, che direttamente o indirettamente avevano lanciato una proposta editoriale con l’obiettivo dichiarato di sviluppare il pluralismo e un giornalismo alternativo, competitivo sul terreno delle idee nella regione. L’impegno generoso di 17 redattori e cinque collaboratori che hanno dato prova di grande tenuta e del direttore Giovanni Maria Bellu, che nel novembre 2011 si era assunto anche il ruolo di editore dopo la rinuncia dei principali imprenditori che l’avevano promosso – continua la Fnsi – non sono valsi ad evitare una chiusura provocata forse anche da peccati d’origine. Non c’è, infatti, solo un problema di difficoltà generica del mercato editoriale ma, dalle notizie che si hanno, emergono pochezza imprenditoriale e insufficienze originarie di business plan».
Parole di rammarico per la fine di una voce “libera”, ma anche di forti critiche contro editori dilettanti o avventuristici. Un monito per chiunque in futuro pensi che fare un giornale sia una scommessa, una sorta di gioco in cui le possibilità di riuscita, seppure ridotte, possano spingere all’azzardo. Un quotidiano, invece, è un impegnativo progetto industriale che mette in campo tante diverse professionalità e ha necessità di sostanziosi finanziamenti. Se va male, come quasi sempre accade in mancanza di questi presupposti, lascia sul terreno disoccupati e debiti che nessuno poi pagherà. In una parola il risultato è il fallimento del progetto editoriale ed il fallimento giudiziario, con conseguenze che peseranno a lungo su tutta la categoria